L'Italia ha bisogno di un sussulto di speranza per fermare il suo declino: così padre
Cantalamessa nella terza predica d'Avvento, alla presenza del Papa
Stamani, padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, ha dedicato
alla speranza la terza ed ultima predica dell’Avvento alla presenza del Santo Padre
e della Famiglia Pontificia, nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico.
Il servizio di Sergio Centofanti.
Padre
Cantalamessa, citando l’Enciclica di Benedetto XVI “Spe salvi”, ha centrato la sua
meditazione su Gesù, fondamento della speranza: speranza che è vera perché Cristo
è Figlio di Dio ed è Dio stesso. La venerazione di Gesú come figura divina – ha ricordato
- non è un frutto posteriore della fede, imposto per legge da Costantino a Nicea
nel 325, come oggi alcuni affermano, ma esplose all’improvviso: “In principio era
il Verbo”, scrive nel Vangelo San Giovanni. E contestando il “Gesù degli atei” il
religioso cappuccino ha sottolineato che “senza il radicamento in Dio la persona
di Gesú rimane fuggevole, irreale e inspiegabile”. Ora, la nostra speranza si fonda
proprio sul fatto che noi in quanto “coeredi di Cristo” siamo “eredi di Dio”.
“Noi creature umane – ha aggiunto - abbiamo bisogno di speranza per vivere, come dell'ossigeno
per respirare”: eppure la speranza è spesso considerata tra le virtù teologali, “la
sorella minore, la parente povera. Si parla spesso della fede, più spesso ancora della
carità, ma assai poco della speranza”:
“Il poeta
Charles Péguy ha ragione quando paragona le tre virtù teologali a tre sorelle: due
adulte e una bambina piccina. Vanno per strada tenendosi per mano (le tre virtù teologali
sono inseparabili tra di loro!), le due grandi ai lati, la bambina al centro. Tutti,
vedendole, sono convinti che sono le due grandi –la fede e la carità – a trascinare
la bambina speranza al centro. Si sbagliano: è la bambina speranza che trascina le
altre due; se si ferma essa, si ferma tutto”.
E questo
– ha proseguito padre Cantalamessa – “lo vediamo anche sul piano umano e sociale:
come in Italia, dove “si è fermata la speranza e con essa la fiducia, lo slancio,
la crescita, anche economica”:
“Il ‘declino’ di cui
si parla nasce da qui. La paura del futuro ha preso il posto della speranza. La scarsità
delle nascite ne è il rivelatore più chiaro. Nessun paese ha bisogno di meditare l’enciclica
del papa quanto l’Italia”.
C’è bisogno di guarire
dalla malattia più pericolosa – ha aggiunto: lo scoraggiamento, la disperazione. “A
volte giova gridare a se stessi: ‘Ma Dio c’è e tanto basta!’”:
“Il
servizio più prezioso che la Chiesa italiana può fare, in questo momento al paese,
è quello di aiutarlo ad avere un sussulto di speranza. Contribuisce a questo scopo
chi (come ha fatto Benigni nel suo recente spettacolo in Tv) non ha paura di contrastare
il disfattismo, ricordando agli italiani i tanti e straordinari motivi, spirituali
e culturali, che essi hanno di avere fiducia nelle proprie risorse”.
“Non
si abbonda nella speranza senza la virtù dello Spirito Santo” - ha precisato il predicatore
della Casa Pontificia - “La speranza è miracolosa: quando rinasce in un cuore, tutto
è diverso anche se nulla è cambiato … Dove rinasce la speranza rinasce anzitutto la
gioia”:
“L’Apostolo dice che i credenti sono ‘spe
salvi’, ‘salvati nella speranza’ (Rom 8, 24) e che perciò devono essere ‘spe gaudentes’,
‘lieti nella speranza’ (Rom 12, 12). Non gente che spera di essere felice, ma gente
che è felice di sperare; felice già ora, per il semplice fatto di sperare. Che in
questo Natale il Dio della speranza, per virtù dello Spirito Santo e per intercessione
di Maria ‘Madre della speranza’, ci conceda di essere lieti nella speranza e di abbondare
in essa”.