Benedetto XVI ricorda con la Curia Romana gli avvenimenti ecclesiali del 2007: l'annuncio
del Vangelo guarisce l'umanità dalle ferite della secolarizzazione
Uno sguardo della memoria e del cuore agli avvenimenti che, nei dodici mesi del 2007,
hanno costruito un nuovo anno di storia per la Chiesa e per la sua missione nel mondo
contro la “pressione” delle ideologie e della secolarizzazione. E’ questa la sostanza
dell’ampio discorso che questa mattina Benedetto XVI ha rivolto alla Curia Romana,
nella tradizionale udienza per lo scambio degli auguri natalizi. La sintesi dell’intervento
del Pontefice nel servizio di Alessandro De Carolis:
C’è
una parte dell’umanità che ha dimenticato la promessa di Cristo: “Ecco io sono con
voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. L’ha relegata lontano dalla propria
coscienza, lasciandosi sedurre da forze secolarizzate e da “presunzioni ideologiche”
interessate a sostituire la presenza di Dio nell’uomo e nel mondo con la sola “razionalità”.
Contro queste derive è la “fatica” della Chiesa di ogni giorno e di ogni anno, del
suo essere messaggera del Vangelo, forte di un messaggio di pace portato duemila anni
fa da un Dio Bambino. Di questa fatica aspotolica, e della gioia che l’accompagna,
si è fatto interprete Benedetto XVI, passando in rassegna i fatti e le esperienze
del 2007: dal viaggio in Brasile a quello in Austria, dalla lettera alla Chiesa cinese
a quella in risposta ai leader musulmani. Fatti accompagnati da domande e dalle risposte
suggerite da ciò che la fede produce quando l’uomo riesce a incontrare Dio nella sua
anima. Esperienze concrete, dove è l’agire umano a illuminare una verità più profonda.
Il primo esempio, la serata trascorsa dal Papa con i giovani brasiliani allo Stadio
San Paolo, durante la visita apostolica in Brasile. Ecco la lettura che il Pontefice
ha dato di quelle ore:
“Esistono manifestazioni
di massa che hanno solo l’effetto di un’autoaffermazione; in esse ci si lascia travolgere
dall’ebbrezza del ritmo e dei suoni, finendo per trarre gioia soltanto da se stessi.
Lì invece ci si aprì proprio l’animo; la profonda comunione che in quella sera si
instaurò spontaneamente tra di noi, nell’essere gli uni con
gli altri, portò con sé un essere gli uni per gli
altri. Non fu una fuga davanti alla vita quotidiana, ma si trasformò nella forza di
accettare la vita in modo nuovo”.
E’ questa la
“diversità” cristiana. Una folla attraversata dall’entusiamo che diventa, ha detto
il Papa, “un’esperienza viva di comunione”. Ma il viaggio in Brasile ha offerto alla
sensibilità spirituale di Benedetto XVI molti spunti di riflessione. Così, la canonizzazione
di Frei Galvão diventa il segno della santità che entra nella storia, per cui è come
se ogni Santo - ha intuito il Pontefice - anticipasse nello scorrere dei nostri giorni
“una piccola porzione del ritorno di Cristo” alla fine dei tempi. O la visita alla
“Fazenda da Esperança”, dove il sorriso tornato sul viso di ex schiavi della droga,
che hanno ritrovato la dignità, è il riflesso della bellezza divina che splende nella
natura circostante:
“Dobbiamo difendere la creazione
non soltanto in vista delle nostre utilità, ma per se stessa – come messaggio del
Creatore, come dono di bellezza, che è promessa e speranza. Sì, l’uomo ha bisogno
della trascendenza. Solo Dio basta, ha detto Teresa d’Avila. Se Lui viene a mancare,
allora l’uomo deve cercare di superare da sé i confini del mondo, di aprire davanti
a sé lo spazio sconfinato per il quale è stato creato. Allora, la droga diventa per
lui quasi una necessità. Ma ben presto scopre che questa è una sconfinatezza illusoria
– una beffa, si potrebbe dire, che il diavolo fa all’uomo”. E
ancora, l’incontro con i vescovi del Brasile nella cattedrale di San Paolo o l’apertura
della Conferenza di Aparecida - qui sottolineata dalla piccola statua della Madonna,
là dalla musica e dai cori soilenni - entrambi rimasti nei ricordi del Pontefice insieme
con una domanda valida per la Chiesa latinoamericana come per quella universale: ma
“è giusto” che la Chiesa pensi alle questioni interiori mentre la storia bussa chiedendo
pace e giustizia? In altre parole, “è ancora lecito evangelizzare”? E qui, Benedetto
XVI ha ribadito ancora una volta i principi-cardine del suo magistero: il mondo ha
bisogno di verità e carità, ma non come enunciazioni astratte, bensì come frutto di
un’incontro, vivo e vitale, con Cristo:
“Non si
può mai conoscere Cristo solo teoricamente. Con grande dottrina si può sapere tutto
sulle Sacre Scritture, senza averLo incontrato mai (…) La catechesi non può mai essere
solo un insegnamento intellettuale, deve sempre diventare anche un impratichirsi della
comunione di vita con Cristo, un esercitarsi nell’umiltà, nella giustizia e nell’amore”.
Per
un cristiano, dunque, le cose si giocano su questo piano: se la parola-chiave è la
“vita” - cioè, l’incontro con Gesù che trasforma l’esistenza e apre alla verità, alla
carità e alla “chiamata di speranza che ne deriva” - questa vita non può essere mantenuta
per sé ma va annunciata. E a ciò, ha confermato il Papa, la Chiesa si dedica “con
grande energia”, perché - come San Paolo - avverte un’insopprimibile “costrizione”
a proclamare il Vangelo:
“E di fatto: quanto è
importante che confluiscano nell’umanità forze di riconciliazione, forze di pace,
forze di amore e di giustizia – quanto è importante che nel 'bilancio' dell’umanità,
di fronte ai sentimenti ed alle realtà della violenza e dell’ingiustizia che la minacciano,
vengano suscitate e rinvigorite forze antagoniste! È proprio ciò che avviene nella
missione cristiana. Mediante l’incontro con Gesù Cristo e i suoi santi, mediante l’incontro
con Dio, il bilancio dell’umanità viene rifornito di quelle forze del bene, senza
le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma – di
fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace ed alla giustizia
– rimangono solo teorie astratte”.
Inoltre, ha
osservato Benedetto XVI, la Chiesa crede anche nella cooperazione con tutte le religioni
che hanno a cuore la “promozione della pace nel mondo”. Una dimostrazione di questo
impegno è contenuta nella risposta inviata dal Pontefice ai 138 leader musulmani:
“Con
gioia ho risposto esprimendo la mia convinta adesione a tali nobili intendimenti e
sottolineando al tempo stesso l’urgenza di un concorde impegno per la tutela dei valori
del rispetto reciproco, del dialogo e della collaborazione. Il riconoscimento condiviso
dell’esistenza di un unico Dio, provvido Creatore e Giudice universale del comportamento
di ciascuno, costituisce la premessa di un’azione comune in difesa dell’effettivo
rispetto della dignità di ogni persona umana per l’edificazione di una società più
giusta e solidale”.
Un dialogo che, su un altro
versante, ha visto l’anno che va a chiudersi scrivere una pagina storica attraverso
le pagine della Lettera inviata dal Papa ai cattolici della Cina:
“Ho
indicato alcuni orientamenti per affrontare e per risolvere, in spirito di comunione
e di verità, le delicate e complesse problematiche della vita della Chiesa in Cina.
Ho anche indicato la disponibilità della Santa Sede ad un sereno e costruttivo dialogo
con le Autorità civili al fine di trovare una soluzione ai vari problemi, riguardanti
la comunità cattolica. La Lettera è stata accolta con gioia e con gratitudine dai
cattolici in Cina. Formulo l'auspicio che, con l'aiuto di Dio, essa possa produrre
i frutti sperati”. La “meravigliosa” visita in Austria,
segnata da un maltempo divenuto - secondo un felice titolo dell’Osservatore Romano
- “pioggia della fede" e l’Agorà dei giovani di Loreto sono stati per Benedetto XVI
altri segni della gioia e della speranza cristiana nel 2007, insieme con la visita
a Napoli, città di “calorosa umanità”. Con questi pensieri e con il cuore aperto al
messaggio del Natale, il Papa ha concluso il discorso alla Curia Romana, definita
sua “comunità di lavoro”, con un’ultima considerazione, intrisa di realismo per il
mondo d’oggi e di grande fede per come possa essere in futuro:
“Certo,
non bisogna illudersi: i problemi che pone il secolarismo del nostro tempo e la pressione
delle presunzioni ideologiche alle quali tende la coscienza secolaristica con la sua
pretesa esclusiva alla razionalità definitiva, non sono piccoli. Noi lo sappiamo,
e conosciamo la fatica della lotta che in questo tempo ci è imposta. Ma sappiamo anche
che il Signore mantiene la sua promessa: ‘Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino
alla fine del mondo’”.