Il valore della sofferenza che redime nella breve e straordinaria parabola di “Nennolina”.
Intervista con padre Piersandro Vanzan
C’è anche una bimba di sei anni e mezzo tra i Servi di Dio per i quali il Papa ha
autorizzato ieri i decreti che ne riconoscono le “virtù eroiche”. Si tratta di Antonietta
Meo, detta familiarmente “Nennolina”, nata a Roma il 15 dicembre 1930, morta per malattia
a neanche sette anni e sepolta nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. La sua
tomba è meta di pellegrinaggi da tutto il mondo. La sua storia è conosciuta, ormai,
in molti Paesi: in seguito ad un terribile male diagnosticato dai medici, Nennolina
ha dovuto affrontare all’età di 5 anni la drammatica esperienza dell’amputazione della
gamba. Ma di fronte alla sofferenza ha intuito che ognuno deve compiere in sé ciò
che manca alle sofferenze di Cristo per la salvezza delle anime. Ascoltiamo, al microfono
di Amedeo Lomonaco, padre Piersandro Vanzan, censore teologo della Commissione
per la Causa di beatificazione di Antonietta Meo:
R. -
Questa bimba ha potuto realizzare in modo incredibile, dal punto di vista umano, una
grande immedesimazione mistica con Gesù Crocifisso ed effettivamente il Signore ha
fatto grandi cose in questa sua piccola Nennolina, che brilla non solo davanti a Gesù
e con Gesù, ma per dare luce a tutti noi.
D. - Le
lettere di Nennolina rivolte a Gesù, alla Madonna e allo Spirito Santo costituiscono
l’itinerario mistico della sua brevissima vita: dalla semplicità della forma delle
lettere, scritte dalla madre, emerge una profondità spirituale, specchio fedele dei
suoi sentimenti...
R. - Queste letterine cominciò
a dettarle alla mamma addirittura a cinque anni e costituiscono proprio la sua spiritualità
di immedesimazione, prima con Gesù Bambino, con Gesù ragazzino, con Gesù che gioca,
con Gesù che salta come lei, e poi, con Gesù sofferente, con Gesù in croce: lì raggiunge
la vetta della sua immedesimazione mistica.
D. -
Nennolina dice di voler offrire la propria gamba a Gesù per la conversione dei peccatori.
Quale valore della sofferenza si scorge nella sua breve vita?
R.
- Nel ’36, nell’anniversario dell’amputazione, lei vuole che si faccia grande festa
in casa. 'Dobbiamo - dice - festeggiare l’anniversario dell’amputazione della gamba,
perché io l’ho donata a Gesù'. Quando la zia andò a trovarla e mortificata, addolorata
le diceva: “Bambina mia, adesso chissà come farai senza una gamba...”. Lei diceva:
“Ma zia, io non ho perso una gamba, l’ho regalata a Gesù”.
D.
- Questa serenità di di Nennolina davanti alla sofferenza è frutto di particolari
doni di grazia...
R. - Senz’altro, umanamente non
è spiegabile. Questa bimba ha la capacità di soffrire ed offrire con Gesù tutto al
Padre, per la salvezza del mondo. Questa è decisamente una grazia straordinaria. Addirittura,
abbiamo la testimonianza del suo confessore, al quale la bambina dice: “Io mi corico
sulla ferita, in modo da sentire più male, perché in quel momento posso offrire più
dolore a Gesù”.
D. - Un’altra espressione che va
ricordata è il desiderio di Nennolina di essere "la lampada che arde davanti al tabernacolo
giorno e notte". Questa luce continua a rischiarare anche oggi?
R.
- La lampada che brilla sempre giorno e notte davanti a Gesù è proprio l’esempio che
lei giorno e notte dà a tutti noi, in tutto il mondo proprio perché la bimba è una
lampada accesa che porta luce ovunque.