La difficile situazione dei cristiani in Terra Santa al centro di un briefing in Sala
Stampa vaticana
Terra Santa in primo piano oggi nella Sala Stampa della Santa Sede. A parlarne il
Custode di Terra Santa, il padre francescano Pierbattista Pizzaballa. Con lui, il
segretario della Congregazione per le Chiese Orientali, l’arcivescovo Antonio Maria
Vegliò, e il direttore della stessa Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.
C’era per noi, Giada Aquilino:
“Dove c’è
divisione, c’è anche condivisione”. Così padre Pierbattista Pizzaballa presenta l’immagine
della Terra Santa, quotidianamente attraversata dalla violenza ma ricca di una fiducia
che nasce proprio dalla fede. Una realtà in cui vive la piccola comunità cristiana
di Terra Santa: 170 mila fedeli, tra Israele e Autorità Nazionale Palestinese. Una
realtà difficile, contrassegnata dal conflitto israelo palestinese, “a cui sono legate
situazioni di povertà strutturale” - più nell’ANP che nello Stato ebraico - le quali
spingono i cristiani a lasciare la terra dove nacque Gesù per altre zone più sicure.
Il problema principale per loro - ha ricordato padre Pizzaballa - è dunque “rimanere
uniti” e superare gli ostacoli della mancanza di lavoro e case, per esempio. L’azione
della Chiesa locale è viva nelle parrocchie, nelle scuole, nelle strutture ospedaliere,
nel dialogo interreligioso ed ecumenico. Positivo il ritorno del turismo, a Betlemme
e non solo: nel 2007 è stata registrata un'affluenza nelle prenotazioni superiore
a quella dell’ultimo Giubileo. Con l’avvicinarsi del Natale, “migliora ma è
ancora da risolvere” la situazione dei visti di ingresso da alcuni Paesi arabi verso
Israele. Una realtà in movimento, insomma, per la quale, ricordò il Papa nel Messaggio
ai cattolici del Medio Oriente per il Natale 2006, è di speranza sapere che tali comunità
cristiane “continuano ad essere comunità viventi e attive, decise a testimoniare la
loro fede”. E a proposito di un eventuale viaggio di Benedetto XVI in Medio Oriente,
il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha ricordato che “il Papa ha
espresso più volte il suo desiderio di andare in Terra Santa. Però - ha aggiunto -
ci vogliono sia delle condizioni di pacificazione generale dell'area, sia occorre
tenere presenti i rapporti della Chiesa con le realtà locali e se ci sono segnali
positivi da incoraggiare con un atto così importante come il viaggio”. ''C'è - ha
concluso - il desiderio da parte del Papa, ma nessun progetto avviato”. Ma per conoscere
meglio la Terra Santa e la realtà dei cristiani, ascoltiamo padre Pierbattista
Pizzaballa:
R. – I cristiani purtroppo
in Terra Santa sono sempre di meno, purtroppo. Non sono più dell’1 per cento della
popolazione. Come tutti gli abitanti della Terra Santa, vivono in grandi difficoltà
economiche, politiche e sociali. Ovviamente, essendo una così piccola minoranza, si
sentono ancora più esclusi dalla vita del Paese: questa è una situazione che influisce
in modo sempre più pesante.
D. – A cosa è dovuta
tale diminuzione nella percentuale di cristiani in Terra Santa?
R.
– Sono tante le ragioni. Innanzitutto, c’è un conflitto in corso che influisce sulla
situazione economica, che è uno dei motivi principali dell’esodo dei cristiani, soprattutto
dall’Autonomia palestinese e da Betlemme. E’ un Paese dove le prospettive sono sempre
incerte per il futuro e molte famiglie, quando la situazione non è chiara, cercano
una soluzione migliore fuori.
D. – Qual è la realtà
dei giovani, in particolare?
R. – Questo stato di
cose colpisce soprattutto i giovani, i quali fanno difficoltà a trovare lavoro. E
per questo si sentono doppiamente esclusi da alcuni: dai musulmani perché sono cristiani,
dagli israeliani perché sono arabi, forse anche esagerando, perché non è sempre vero.
Però è quello che loro sentono. E ciò influisce molto sul clima generale.
D.
– Lei è a contatto con cristiani di origine ebraica e con cristiani di origine palestinese.
Come affrontano la situazione odierna di violenze e privazioni?
R.
– Di origine ebraica o di origine palestinese, i cristiani sono cristiani e quindi
hanno sempre un atteggiamento molto pacifico, di fiducia e di speranza.
D.
– Quali sono i rapporti con le altre religioni?
R.
– Sono rapporti dettati dalla vita di ogni giorno: perché cristiani, ebrei e musulmani
vivono insieme, vivono lo stesso contesto. Nonostante tutto, nonostante le tante barriere
di cui si parla della Terra Santa, delle tante divisioni fisiche e psicologiche, ci
sono anche molti elementi di condivisione di vita.
D.
– A Parigi, la comunità internazionale sta raccogliendo aiuti finanziari per i palestinesi.
Cosa serve, secondo lei, oggi?
R. – Sicuramente,
gli aiuti finanziari sono necessari come il pane, perché per fare ripartire la macchina
della comunità ci vogliono anche molte risorse economiche. Ma non basta: ci vuole
pure educazione alla convivenza.
D. – In questi giorni,
si è tenuta la plenaria della Commissione bilaterale tra Santa Sede e Israele. Quali
segni ci sono?
R. – La strada è ancora lunga. Ci
sono ancora punti da risolvere, però c’è un clima di maggiore fiducia rispetto al
passato. Non bisogna avere fretta di finire, l’importante è fare le cose bene da ambo
i lati. I punti principali riguardano la situazione del pagamento delle tasse: in
che modo, come, quando. E poi lo status giuridico della Chiesa cattolica in Israele.
D.
– Ci si avvicina al Natale. I cristiani di Terra Santa come si preparano?
R.
– Lì a Betlemme è nato Gesù, “hic puer natus est”, “qui è nato il bambino”, per cui
c’è una sorta di commozione sempre particolare: il fatto che sia avvenuto proprio
qui e il collegarci a quell’evento è sempre commovente. La speranza è proprio in Betlemme,
in quel bambino che nasce: la nascita di Gesù è l’ultima parola di Dio, che è una
parola di vita, di speranza, di fiducia per il futuro.