Mons. Amato: la Nota indica l'urgenza della missione. Il commento di padre Federico
Lombardi
Sugli obiettivi della Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede ascoltiamo
l’arcivescovo Angelo Amato, segretario del dicastero, al microfono di Giovanni
Peduto: R.
- In realtà la finalità di questo documento è proprio quella di riscoprire la missione
e di rimotivare l’urgenza e la necessità della evangelizzazione di tutti i popoli.
Il magistero pontificio ha più volte ripetuto che dopo duemila anni di cristianesimo
la missio ad gentes è ancora ai suoi inizi. La Chiesa quindi è chiamata al suo compito
primordiale: annunciare la buona novella della salvezza in Cristo a tutta l’umanità.
Diceva San Paolo: «Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere
per me: guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9,16).
D.
- Ci sono delle difficoltà al riguardo?
R. - Si
tratta piuttosto di confusione, presente anche negli stessi istituti missionari.
D.
- Di che si tratta?
R. - Spesso e a torto, si ritiene
che l’evangelizzazione sia un limite posto alla libertà altrui. Sarebbe sufficiente
esporre le proprie idee senza l’invito alla conversione a Cristo e senza il battesimo.
In concreto quindi si disattende l’evangelizzazione per impegnarsi nella sola promozione
umana e in concreto nell’apostolato per la giustizia, la pace, la solidarietà. Anzi,
si arriva anche a sostenere che non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce
né favorire l’adesione alla Chiesa con il battesimo, poiché la salvezza sarebbe disponibile
nella stessa misura anche fuori della Chiesa, nelle varie religioni del mondo. Quindi
niente annuncio di Cristo, niente invito alla conversione, niente battesimo, niente
Chiesa. Solo impegno nel sociale.
D. - Sembra una
situazione piuttosto grave. Quali sono le cause?
R.
- Le cause sono di indole teorica. Si è introdotta nella teoria, e poi anche nella
prassi di non poche istituzioni, l’idea del pluralismo religioso non solo di fatto
ma di diritto, con la conseguente affermazione del relativismo religioso: ogni religione
porterebbe alla salvezza allo stesso modo del Cristianesimo. Di qui il raffreddamento
dello spirito missionario fino alla sua estinzione.
D.
- Si tratta di un fenomeno recente?
R. - Non del
tutto. Già nel 1990 Giovanni Paolo II aveva parlato dell’urgenza dell’annuncio di
Cristo come salvatore dell’umanità intera e della necessità della Chiesa come sacramento
universale di salvezza. Nel 2000 la stessa Congregazione per la Dottrina della Fede
aveva rilevato gli errori della teologia pluralistica delle religioni nella nota dichiarazione
Dominus Iesus, che aveva riaffermato l’universalità della rivelazione cristiana, l’unicità
e l’universalità salvifica del mistero dell’incarnazione e l’universalità salvifica
della Chiesa.
D. - Come la Nota fa fronte a questo
insieme di difficoltà?
R. - Mediante una triplice
considerazione: antropologica, ecclesiologica ed ecumenica. Da un punto di vista antropologico
la Nota ribadisce tre concetti: la libertà di ogni persona umana nelle sue scelte
religiose; la sua capacità di ricercare e di accogliere liberamente il bene e la verità;
il suo diritto a condividere con altri i propri beni non solo materiali ma anche spirituali:
«è proprio dell’uomo il desiderio di rendere partecipi gli altri dei propri beni»
(n. 7). La piena adesione a Cristo e alla sua Verità non diminuisce ma esalta la libertà
umana protendendola verso il suo compimento.
D. -
Quali sono le implicanze ecclesiologiche alle quali accenna la Nota?
R.
- La Chiesa fin dall’inizio è stata chiamata da Gesù alla conversione e, a sua volta,
ha chiamato le genti alla conversione al Vangelo, come espressione della vita nuova
in Cristo. L’incorporazione alla Chiesa non è l’estensione di un gruppo di potere,
ma l’ingresso libero nella rete di amicizia con Cristo. Si tratta di un dono di comunione
nella carità. Il dilatarsi della Chiesa nella storia non è altro che un servizio alla
presenza di Dio nella storia e uno strumento di autentica umanizzazione dell’uomo
e del mondo. Chi annuncia il Vangelo diventa ambasciatore di Cristo, della sua verità
e della sua salvezza.
D. - Cosa dice delle implicanze
ecumeniche?
R. - La Nota chiarisce un equivoco. Nelle
regioni a maggioranza cattolica vige una grande libertà di culto e di azione per i
non cattolici. Spesso non c’è una adeguata reciprocità, nel senso che la cura dei
cattolici, da parte di sacerdoti e di vescovi, in territori a grande maggioranza non
cattolica, viene considerata proselitismo. La Nota riafferma l’urgenza e il rispetto
della libertà religiosa di ogni persona umana, anche per chi vuole accedere alla Chiesa
cattolica: «se un cristiano non cattolico, per ragioni di coscienza e convinto della
verità cattolica, chiede di entrare nella piena comunione della Chiesa cattolica,
ciò va rispettato come opera dello Spirito Santo e come espressione della libertà
di coscienza e di religione» (n. 12). Non si tratta quindi di proselitismo ma di rispetto
della dignità della persona e di rispetto delle sue scelte religiose. Niente si impone
con la forza, ma nella totale gratuità della condivisione di un dono.
Sulla
Nota dottrinale ascoltiamo il commento del nostro direttore generale padre
Federico Lombardi:
“Guai
a me se non predicassi il Vangelo!”. Queste parole forti di San Paolo continuano a
risonare anche oggi nel cuore di ogni vero credente, stupefatto e conquistato dall’amore
di Cristo per lui e desideroso di comunicare il dono ricevuto. E’ una conseguenza
naturale della fede cristiana, una offerta appassionata di ciò che di più grande e
bello si può avere nella vita e che non si vuole egoisticamente conservare solo per
sé. Una offerta appunto, non una imposizione o una costrizione, una offerta fatta
in libertà e alla libertà, fatta per amore, amore di Cristo e degli altri. E l’amore
c’è solo dove c’è libertà.
E’ questo il senso della
Nota sulla evangelizzazione pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della Fede,
firmata dal Papa – non a caso – il 3 dicembre, festa di San Francesco Saverio, il
più grande missionario dell’epoca moderna.
La Nota
vuole liberarci da un atteggiamento di ingiustificata timidezza, come se l’annuncio
del Vangelo fosse una interferenza indiscreta nella vita di altri, come se fosse indifferente
per l’esistenza conoscere o no Gesù Cristo. No, non è indifferente, né per noi né
per gli altri, e infatti se il nostro annuncio dev’essere credibile non sarà un annuncio
solo a parole, ma anche con la testimonianza della vita, diciamo pure con la santità
della vita. Questa passione dell’annuncio per amore di Cristo non è certo esclusiva
dei cattolici, ma di tutti i veri cristiani, ed è quindi una delle spinte più forti
del desiderio profondo dell’unione fra tutti i cristiani. Ci
è stato offerto un bel documento in questo tempo di Avvento. Anche noi dobbiamo preparare
le vie per la venuta del Signore.