La "Spe salvi", ad una settimana dalla pubblicazione, raggiunge il milione di copie
vendute. La riflessione delvescovo Domenico Sigalini
L'Enciclica del Papa "Spe salvi", ad una settimana dalla pubblicazione, ha già raggiunto
il milione di copie vendute. Lo rende noto la Libreria Editrice Vaticana. Un documento
intenso che si rivolge a tutti perchè parla delle speranze di una umanità alla ricerca
perenne della felicità: una umanità che sembra talora aver perso il desiderio della
vita eterna per ripiegarsi esclusivamente sul presente. Atteggiamento che contraddistingue
spesso i giovani del nostro tempo, soprattutto del mondo sviluppato. Su questo aspetto
si sofferma il vescovo di Palestrina, Domenico Sigalini, assistente ecclesiastico
generale dell'Azione Cattolica, intervistato da AlessandroGisotti:
R.
– Il discorso del Papa mi pare proprio molto azzeccato su due versanti: il primo versante
è quello del tempo. Perché noi - dice il Papa - facciamo fatica a pensare a questa
eternità? Perché pensiamo che il futuro che Dio ci promette, sia la continuazione
di un presente, sia il susseguirsi di giorni interminabili e siccome i nostri giorni
interminabili alcune volte sono veramente di grande sofferenza, non vorremmo avere
un’eternità che sia soltanto un tempo ed una lancetta dell’orologio che non si ferma
mai. Ci vuole un salto di qualità e credo che i giovani da questo punto di vista siano
molto disposti ad avere un salto di qualità nelle loro prospettive.
D.
– Come pensa verrà colta dai giovani la "Spes salvi" e in che modo un pastore come
lei potrà proporla ai ragazzi?
R. – Secondo me la
cosa principale è quella di utilizzare le stesse categorie, anche molto strette e
razionali che utilizza il Papa, categorie che permettono anche di leggere l’esperienza
perché i ragazzi veramente, man mano che crescono, si nutrono di speranze. Sono speranze
piccole ma che non vanno assolutamente sottovalutate: è la gioia di un’amicizia, l’attesa
di qualcosa che li appaga perché sono riusciti a superare un esame, è l’esperienza
bella di aver conquistato qualche capacità di autonomia che ha dentro scritto già
la speranza futura che è davvero quella di Dio. Allora il problema è di aiutarli,
di educarli a leggere dentro queste piccole speranze la scelta della grande speranza
e a non smettere mai di “cercare” perché questo è l’atteggiamento che propone il Papa
a tutti noi, e che i giovani intuiscono immediatamente. Ormai sono già stati abituati
fin troppo a tenere i piedi per terra. Ad esempio, una cosa che a loro dà fastidio
è quando i genitori dicono di “tenere i piedi per terra”. No, io non voglio tenere
i piedi per terra, voglio andare oltre e c’è il rischio di avere la testa tra le nuvole
ma il non adattarsi è già una dimensione di ricerca della speranza vera.
D.
– D’altronde il Papa sottolinea che la speranza cristiana non è mai individualistica,
è sempre uno sperare anche per gli altri, è una speranza, quella con la “S” maiuscola
che cambia la vita già nel presente, anche se guarda al domani, al non ancora, un
messaggio attraente per i giovani...
R. – Esatto,
soprattutto quando parte da quel bellissimo esempio della suora africana, di Bakhita,
di questa Santa che proprio nel capire di avere un “Padrone” cioè Dio, si sente liberata
da tutte le angustie più infinite che doveva subire da tutti i padroni della terra.
E i ragazzi, mi pare dall’esperienza che ho con loro, colgono la bellezza di poter
condividere questa speranza con tutti e mi pare un lato nuovo che forse abbiamo sottolineato
poco fino ad ora della speranza cristiana: l'abbiamo sempre ritenuta come il punto
di arrivo mio personale: "mi metto là e sono dentro la pace di Dio, ma guardo soltanto
a me stesso". Invece il Papa insiste: “No, guarda che quell’amicizia, quella voglia
di stare insieme agli altri, quel costruire un tessuto di relazioni che ti rende bella
la vita, è parte integrante della speranza cristiana, niente della tua capacità di
aprirti agli altri è cancellato da una prospettiva che ti viene data dal cristianesimo,
dal Vangelo”.