La ricerca sul Gesù storico e della fede e il valore della castità per i giovani di
oggi, sviluppati da padre Cantalamessa nella prima predica d’Avvento al Papa e alla
Curia Romana
“Gesù di Nazaret, uno dei Profeti?”: è partita da questa domanda fondamentale, rivolta
al cuore di ogni cristiano, la prima predica d’Avvento al Papa e alla Curia Romana,
tenutasi stamani nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano. A sviluppare
la meditazione, sul tema "Ha parlato a noi per mezzo del Figlio", il predicatore della
Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa. Il religioso cappuccino si è soffermato
anche sul valore della castità specie per i giovani di oggi. Una riflessione che ha
preso spunto da un riferimento a Sant’Agostino fatto dal comico Roberto Benigni in
un suo recente spettacolo sulla Divina Commedia di Dante. Il servizio di Alessandro
Gisotti:
La
storia della Salvezza, ha sottolineato padre Raniero Cantalamessa, risulta “costituita
dalla successione di due tempi: il tempo in cui Dio parlava per mezzo dei profeti
e il tempo in cui Dio parla per mezzo del Figlio”. C’è continuità, ma anche una novità
fondamentale: adesso, infatti, “il Rivelatore si fa rivelazione, rivelazione e Rivelatore
coincidono”. Di qui, padre Cantalamessa ha sviluppato un’analisi delle “opinioni che
oggi circolano su Gesù”. Nel campo degli studi storici, ha spiegato, stiamo vivendo
una “terza ricerca”, dopo una prima, razionalistica, e una seconda, che “aveva proclamato
il Gesù storico irraggiungibile”:
“Se prima si
pensava che il criterio fondamentale di accertamento della autenticità di un fatto
o di un detto di Gesú fosse il suo essere in contrasto con quanto si faceva o si pensava
nel mondo giudaico a lui contemporaneo, ora esso viene visto, al contrario, nella
compatibilità di un dato evangelico con il giudaismo del tempo”. Viene
così “ritrovata la continuità della rivelazione”, ma, ha avvertito padre Cantalamessa,
questa ricerca si è spinta troppo avanti. “Gesù – ha rilevato – finisce per dissolversi
completamente nel mondo giudaico, senza più distinguersi se non in qualche dettaglio
e per qualche interpretazione particolare della Torah”:
“La
divulgazione, anche tra noi in Italia, ha fatto il resto, diffondendo l’immagine di
un Gesú ebreo tra ebrei, che non ha fatto quasi nulla di nuovo, ma di cui si continua
a dire (non si sa come) che 'ha cambiato il mondo”’. In
tale contesto, il religioso ha ricordato l’opera “Un rabbino parla con Gesù” del rabbino
americano Jacob Neusner, a cui Benedetto XVI dedica un capitolo importante del suo
“Gesù di Nazaret”:
"Toccante lo scambio di idee
che il rabbino, reduce dall’incontro con Gesú, ha con il suo maestro nella sinagoga:
Maestro: 'Ha tralasciato qualcosa [della Torah] il tuo Gesú?' Rabbino Neusner: 'Nulla'.
Maestro: 'Allora ha aggiunto qualcosa?' Rabbino Neusner: 'Sì, se stesso'”. “Interessante
coincidenza”, annota padre Cantalamessa, si tratta dell’identica risposta data da
Sant’Ireneo, nel II secolo, a coloro che si domandavano che cosa Cristo “avesse recato
di nuovo venendo nel mondo”: “Ha portato, scriveva ogni novità portando se stesso”.
E’ impossibile fare di Gesù “un normale giudeo del suo tempo”, anzi è impossibile
farne “un semplice uomo”:
"Gesú, in altre parole,
non ha solo rivendicato per sé un’autorità divina, ma ha anche dato segni e garanzie
a sua riprova: i miracoli, il suo stesso insegnamento (che non si esaurisce nel discorso
della montagna), il compimento delle profezie, soprattutto quella pronunciata da Mosè
di un profeta simile e superiore a lui; poi la sua morte, la sua risurrezione e la
comunità nata da lui che realizza l’universalità della salvezza annunziata dai profeti".
Padre Cantalamessa ha quindi sviluppato la seconda parte
della sua predica incentrandola sull’Avvento quale “tempo di conversione e risveglio
spirituale”. In questa vita, ha costatato, “siamo cronicamente esposti a ripiombare
nel sonno”, in uno stato di “assopimento e di inerzia spirituale”. Ha così citato
il celebre passo delle Confessioni di Sant’Agostino, nel quale descrive la sua conversione.
“E’ ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora
di quando diventammo credenti”, questo il passo della Lettera di San Paolo ai Romani
che risveglia il futuro vescovo di Ippona. La vicenda di Agostino ha portato padre
Cantalamessa ad una nota di attualità: lo spettacolo di Roberto Benigni sulla Divina
Commedia, trasmesso la settimana scorsa da RAI UNO. “Si è trattato – ha detto – a
momenti, di una lezione di altissima comunicazione religiosa, oltre che artistica
e letteraria”. Tuttavia, su un punto, “forse non premeditato, Benigni ha lanciato
un messaggio che potrebbe risultare micidiale per i giovani e cha va rettificato”.
Il comico toscano ha citato la frase di Agostino che dice: “Dammi la castità e la
continenza, ma non ora”, come se prima bisognasse “provare tutto” e poi da vecchi,
“praticare la castità”: "L’attore ha attribuito la
frase a 'sant’Agostino', ma essa non è di 'santo' Agostino; è di Agostino ancora peccatore,
di prima della conversione. Non ha detto quante lacrime era costato al santo strapparsi
alla schiavitù della passione a cui si era dato in braccio e non ha ricordato la preghiera
che egli sostituirà più tardi a quella incauta giovanile: 'Tu mi comandi di essere
casto; ebbene, concedimi quello che mi chiedi e poi chiedimi quello che vuoi'”. I
giovani di oggi, ha sottolineato, non hanno certo bisogno di essere “incoraggiati
a buttarsi, a rompere le barriere”. Piuttosto, “hanno bisogno di chi dia loro delle
motivazioni convincenti, non certo ad aver paura del loro corpo e dell’amore, ma semmai
ad aver paura di sciupare l’uno e l’altro”. Il male della lussuria, ha aggiunto riecheggiando
un passo dantesco, “consiste nel sottomettere la ragione all’istinto, anziché l’istinto
alla ragione”: “L’istinto (il talento) ha la sua funzione
se regolato dalla ragione; in caso contrario, diventa il nemico, non l’alleato, dell’amore,
portando ai delitti più efferati, di cui le cronache recenti ci hanno fornito esempi”. “La
vita spirituale – è stata la sua riflessione – non si riduce certo alla sola castità
e purezza, ma è certo che senza di essa ogni sforzo in altre direzioni risulta impossibile”.
E’ un’illusione, ha concluso padre Cantalamessa, “credere di poter mettere insieme
un autentico servizio ai fratelli” e una vita personale “disordinata, tesa tutta a
compiacere se stessi e le proprie passioni”. “Non sa dire dei sì ai fratelli, chi
non sa dire dei no a se stesso”.