Trent'anni fa moriva Raoul Follereau, apostolo dei lebbrosi
“Una voce che risuona ancora” è questo il titolo del convegno che ha preso il via
oggi presso il Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei, a 30 anni
esatti dalla morte di Raoul Follereau. L’appuntamento organizzato dall’Associazione
“Voglio Vivere Onlus”, membro dell’Unione Internazionale Raoul Follereau, è iniziato
con la concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Javier Lozano Barragán,
presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, insieme a mons.
Carlo Liberati, arcivescovo-prelato di Pompei. Scopo dell’iniziativa, far conoscere
alle giovani generazioni le opere del giornalista francese che spese la propria esistenza
al servizio degli altri, dedicandosi in particolar modo alla cura dei lebbrosi. Ma
ripercorriamo la vita di Raoul Follereau nel servizio di Massimiliano Menichetti:
L’apostolo
dei lebbrosi, il Vagabondo della carità, l’ambasciatore dei poveri tra i poveri. Sono
molte le espressioni che nel corso degli anni hanno tratteggiato la figura di Raoul
Follereau. Nato nel 1903 a Nevers, nel cuore della Borgogna, inizia
giovanissimo una brillante carriera di scrittore-poeta; a metà degli anni ‘30 parte
per una serie di viaggi che lo portano in Africa. Qui scopre la realtà dei malati
di lebbra, abbraccia le loro sofferenze, si fa promotore di una serie di iniziative
per sconfiggere la patologia e strappare dall’emarginazione chi è colpito dal morbo
di Hansen. Nei 10 anni successivi tiene oltre 1200 conferenze in vari Paesi del mondo,
raccoglie fondi e in Costa d’Avorio, nella città di Adzopé, dà vita a quello che oggi
è “L’Istituto nazionale del trattamento della lebbra”. Nella sua vita farà 30 volte
il giro del mondo per parlare degli ultimi con i “grandi della terra” affinché le
risorse economiche non siano indirizzate agli armamenti ma per combattere la povertà,
l’emarginazione, le malattie. Così, leggendo i suoi scritti, interpretava il suo impegno
a favore degli altri:
“La battaglia della lebbra
non è che un capitolo, il primo capitolo di questa grande lotta che tutti, chiunque
noi siamo, da qualunque parte veniamo, dobbiamo intraprendere contro quelle vere lebbre,
molto più contagiose, ahimè, della lebbra stessa, e che sono la miseria, la fame,
l’egoismo, il fanatismo e la viltà”. Follereau interviene e
scrive alle Nazioni Unite. Negli anni ’50, in piena “guerra fredda”, cercherà di ottenere,
senza successo, dai leader di Russia e Stati Uniti l’equivalente in denaro del valore
di un aereo da bombardamento: “Con il prezzo di due di questi mezzi - dice - potremo
curare tutti i lebbrosi del mondo”. Grazie al suo impegno, nel 1954 l’ONU lancia la
prima Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra: oggi sono 150 i Paesi che la celebrano
l’ultima domenica di gennaio. Ma riascoltiamo le parole di Benedetto XVI pronunciate
l'anno scorso ricordando l’impegno di Follereau:
“Incoraggio
i missionari, gli operatori sanitari e i volontari impegnati su questa frontiera di
servizio all’uomo. La lebbra è sintomo di un male più grave e più vasto, che è la
miseria. Per questo, sulla scia dei miei Predecessori, rinnovo l’appello ai responsabili
delle Nazioni, affinché uniscano gli sforzi per superare i gravi squilibri che ancora
penalizzano larga parte dell’umanità”. In quello che lo
stesso Follereau definisce il suo testamento spirituale, si rivolge ai giovani, li
proclama eredi universali del suo impegno e condanna ogni forma di violenza. Scrive
così:
"Proclamo erede universale tutta la gioventù
del mondo. Tutta la gioventù: quella che ha ricevuto il dono della fede, quella che
si comporta come se credesse, quella che pensa di non credere. C’è un solo cielo per
tutto il mondo. I pacifisti con il manganello sono dei falsi combattenti. Tentando
di conquistare, disertano. Il Cristo ha ripudiato la violenza, accettando la Croce".
Ma
a 30 anni dalla sua morte, cosa dice ai giovani quest’uomo che spese l’intera vita
al fianco degli ultimi? Susanna Bernoldi, dell’Associazione italiana “Amici di Raoul
Follereau”:
“Lui dice ai giovani: Non scoraggiatevi.
E credo che questo sia un monito quanto mai attuale. Non rinunciate, non desistete
perché il domani siete voi. Quindi prende questi giovani per mano, proprio come lui
sapeva fare con i malati di lebbra, quelle persone ripudiate da tutti: lui prendeva
le loro mani, li abbracciava, li baciava, faceva sentire il calore. Ecco: possiamo
essere protagonisti del cambiamento della vita dei nostri fratelli!”.
Una
sfida proiettata al futuro, ancora tutta da giocare e che guarda ai giovani quali
principali artefici della fraternità e della giustizia.