Cresce in misura costante la comunità dei cattolici negli Emirati Arabi. Nel 2004
il vicariato apostolico d’Arabia, eretto nel 1888 per sopperire alle esigenze di un’esigua
comunità, contava oltre un milione e trecentomila fedeli, suddivisi in venti parrocchie
curate da appena quarantacinque sacerdoti tra secolari e regolari. “E’ impressionante
l’incremento registrato negli ultimi anni, con le nostre sole forze non riusciamo
a tenervi testa” ammette don Tony Kuruvilla, salesiano. Il religioso si dice sorpreso
della “dedizione incontrata tra gli immigrati delle più disparate nazionalità, motivo
di gioia e sprone al mio zelo pastorale”. Le cifre della comunità di San Michele
a Sharja, in cura ai Frati Cappuccini, confermano questa tendenza: sono indiani, filippini,
africani, cinesi ed arabo-cristiani i 65 mila fedeli della più grande parrocchia del
vicariato apostolico d’Arabia. Una comunità cosmopolita che impone un ripensamento
delle linee d’azione pastorali. Se fino a dieci anni fa si celebrava secondo rito
latino e l’inglese era la lingua franca, oggi la parrocchia prevede liturgie settimanali
secondo la tradizione siro –malabarese e siro-malankarese. L’afflusso dei fedeli alle
funzioni ed alle attività catechetiche pone un problema di sovraffollamento delle
strutture. “Mi sono spesso chiesto il motivo di un tale attaccamento alla fede” riflette
don Kuruvilla “temo che su di esso influisca il clima d’accerchiamento che incombe
sui cristiani”. (C.D.L.)