Speranze di pace in Medio Oriente dopo Annapolis: il commento di mons. Parolin
Un mini-vertice tra Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Siria e ANP potrebbe svolgersi
tra breve in Arabia Saudita come “seguito alla conferenza di Annapolis” sul Medio
Oriente tenutasi martedì scorso negli USA. Lo hanno riferito ieri fonti giordane.
E mentre continuano le consultazioni internazionali, il governo israeliano ha approvato
la Dichiarazione congiunta messa a punto al termine dei lavori. Ma sono più le speranze
o i dubbi nel dopo Annapolis? Sui risultati del vertice, sentiamo al microfono di
Gabriella Ceraso,mons. Pietro Parolin sottosegretario per i Rapporti
con gli Stati, che ha partecipato al summit come capo delegazione della Santa Sede
:
R. -
Siamo andati ad Annapolis con un barlume di speranza di pace per due popoli che ci
sono cari e che si vedono minacciati nei loro più elementari diritti e non si poteva
permettere che questo barlume di speranza si spegnesse. Mi pare che a distanza di
una settimana ormai, questa fiammella continui ad ardere perché entrambe le parti
hanno mostrato di ritenere superate le strategie perseguite nel passato e che si sono
dimostrate largamente fallimentari, si sono impegnate ad ingaggiare negoziati diretti,
pubblici e su tutte le questioni aperte tenendo ben presente che un accordo di pace
potrà funzionare nella misura in cui analoghi accordi saranno raggiunti anche con
la Siria, con il Libano e con tutti i Paesi arabi nel loro complesso. Poi c’è l’apporto
della comunità internazionale: anche questo è un altro elemento di speranza, mi pare
che ci apre anche ad un certo ottimismo per quanto riguarda il futuro.
D.
– Come definirebbe il clima in cui si è svolto questo negoziato? Rricordiamo la presenza
al vertice di Paesi arabi che non riconoscono lo Stato di Israele...
R.
– Era un clima di fiducia che va protetta e alimentata, fiducia che finalmente si
sia imboccata la strada giusta e che su questa strada si possa arrivare a delle soluzioni
positive per entrambi i popoli.
D. – Mons. Parolin,
uno dei temi al centro dei futuri negoziati sarà la questione di Gerusalemme: come
si colloca, in proposito, la posizione della Santa Sede?
R.
– E’ noto che la Santa Sede chiede che le parti giungano ad un accordo tra di loro
per quanto riguarda la sovranità su Gerusalemme. Una volta definito questo aspetto
della questione, la Santa Sede attende che le due parti prendano in esame anche la
dimensione religiosa della città, soprattutto la città vecchia che è unica e sacra
sia per gli ebrei che per i cristiani e i musulmani sia locali che per gli ebrei,
i cristiani e musulmani in tutto il mondo, a partire dalla considerazione che per
la Santa Sede i luoghi santi non sono musei ma sono luoghi dove vive una concreta
comunità di credenti e questo deve essere salvaguardato. In concreto, che cosa chiede
la Santa Sede? Che in conformità con la prima e fondamentale risoluzione delle Nazioni
Unite in materia, sia riconosciuto uno statuto speciale, internazionalmente garantito
che possa assicurare il carattere storico, materiale e religioso dei luoghi santi
come pure il libero accesso ad essi per i residenti e per i pellegrini. Quindi questo
statuto dovrebbe assicurare in pratica la libertà di religione e di coscienza per
tutti; l’uguaglianza davanti alla legge delle tre religioni monoteistiche e delle
loro istituzioni e dei fedeli; il rispetto dell’identità e del carattere sacro della
città, il suo universale significato religioso e la sua eredità culturale; la libertà
di accesso ai santuari e l’esercizio del culto in essi; il rispetto del regime dello
status quo in quei luoghi dove si applica.