Difficoltà per il nuovo governo somalo, varato domenica scorsa dal neo premier, Nur
Hassan Hussein. In queste ore, quattro ministri si sono già dimessi, lamentando una
scarsa rappresentanza della propria etnia. Nel Paese, intanto, la situazione è sempre
più drammatica. Centinaia di migliaia di civili sono fuggiti dalla capitale Mogadiscio,
ormai da tre settimane teatro di indicibili orrori. A decine di chilometri dalla città,
i campi degli sfollati sorgono spontanei e risultano difficilmente accessibili ai
pochi operatori umanitari ancora presenti nel Paese. Per sapere di più sulla crisi
umanitaria somala, Stefano Leszczynski ha raggiunto telefonicamente Davide Bernocchi,
direttore di Caritas Somalia: R.
- I civili continuano ad essere vittime delle violenze che sono scaturite ormai mesi
fa a seguito della ribellione di un gruppo di clan, che si sono poi riuniti ad e-lementi
più estremisti degli islamisti e, dall’altra parte, del governo contro queste persone,
spalleggiato dalle truppe etiopi. La situazione purtroppo non si è sblocca-ta, nonostante
diversi tentativi, tra cui un Congresso di riconciliazione nazionale, svoltosi quest’estate,
che però non ha portato nessun risultato concreto.
D. - Centinaia di migliaia
sono ormai i profughi che si accampano un po’ dovunque. Come viene fronteggiata anche
da parte della Caritas questa emergenza?
R. - Uno dei problemi fondamentali
di questa crisi umanitaria sta proprio nel fatto che è molto difficile per le organizzazioni
di solidarietà portare aiuti e raggiungere i campi nei quali questi profughi si rifugiano.
Campi che, peraltro, sono semplicemente dei campi informali, in quanto questi profughi
devono procurarsi da sé tutto ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere. Caritas sta
operando in questo momento attraverso "Islamic Release", un’organizzazione umanitaria
di ispirazione islamica, che ha la propria base a Londra e sin dall’inizio della crisi
è stata presente in Somalia per soccorrere i profughi. Direi che in un momento, anche
in un contesto in cui l’opposizione delle identità è la norma, questo è un segno di
collaborazione molto importante.
D. - Cosa raccontano i profughi della situazione
nelle zone dalle quali stanno fuggendo?
R. - La violenza e l’insicurezza a
cui questa gente è abituata da più di 16 anni, in questo momento, raggiunge delle
punte davvero inaudite. Non c’è più distinzione tra civili, militari e, purtroppo
- così come anche il governo americano ha denunciato non molto tempo fa - la violenza
proviene sia dai soldati etiopi che da quelli del governo e dai ribelli. Questa è
la situazione veramente tragica, che la gente si trova ad affrontare. Il fatto che
molte persone restino, comunque, nei dintorni di Mogadiscio significa che conservano
la speranza di poter far ritorno nella capitale a breve.