2007-12-04 15:17:05

Secondo la CIA l’Iran ha sospeso il programma di arricchimento dell’uranio, ma per la Casa Bianca occorre vigilare


Si anima il dibattito sul rapporto inviato dai Servizi segreti americani al Congresso degli Stati Uniti, secondo il quale l’Iran ha interrotto il proprio programma nucleare nell’autunno del 2003, in seguito alle pressioni internazionali. Secondo la Casa Bianca, però, non bisogna allentare il controllo, mentre il presidente Bush si è messo in contatto con il suo collega Putin per discutere della faccenda. Anche Israele ha sottolineato l’importanza di vigilare. Il documento non sorprende l’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’Energia Atomica. Ma come è stata accolta la notizia nella Repubblica Isalmica? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Alberto Zanconato, responsabile della sede ANSA di Teheran:RealAudioMP3


R. - L’Iran ha reagito subito con toni positivi, anche se decisamente prudenti. Il ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki, ha detto che il suo governo è soddisfatto per quello che ha definito “un cambiamento di rotta realistico da parte degli Stati Uniti”, mentre il presidente della Commissione esteri del parlamento, Alaeddin Borujerdi, ha invitato il presidente Bush ad ammettere apertamente il fallimento della sua politica verso l’Iran e, quindi, a cambiare, sostenendo che l’amministrazione americana debba liberarsi dell’influenza di Israele. Ovviamente, l’Iran vede uno spiraglio dopo questi mesi di braccio di ferro e dopo pressioni sempre più forti, anche se non vengono ancora commentati quelli che sono - in realtà - gli aspetti negativi del Rapporto dell’intelligence americana, che dice - in sostanza - che un programma nucleare militare da parte dell’Iran esiste, è esistito ed è stato sospeso nel 2003, ma fino a quella data ha continuato ad andare avanti ed oggi non si sa ancora se verrà ripreso o meno.

 
D. - Si può parlare di un futuro allentamento delle tensioni con Teheran?

 
R. - Da parte dell’Iran, questo sembra uno spiraglio per uscire da una situazione che lo vedeva stretto sempre più all’angolo, e, di fatto, lo vede ancora in questa situazione, perché, da parte americana, si dice afferma che proprio questo Rapporto dovrebbe convincere la comunità internazionale a continuare ad esercitare pressione sull’Iran. E’, quindi, ancora presto per poter pensare una distensione vera e propria in questo confronto e nei rapporti tra gli Stati Uniti e l’Iran.

Chavez: il Venezuela non è pronto per una svolta socialista
Il Venezuela potrebbe non essere pronto per avviarsi verso la costruzione di una società socialista. E’ quanto dichiarato dal presidente, Hugo Chavez, intervenendo in un programma della tv statale sulla sconfitta del suo progetto di riforma costituzionale nel referendum di domenica.

Gli osservatori indipendenti contestano l’esito del voto in Russia
Ci spostiamo in Russia. Anche il GOLOS, il principale organismo indipendente del Paese per il monitoraggio delle elezioni, ritiene che le legislative di domenica non siano state libere. Lo ha comunicato in una conferenza stampa a Mosca la direzione dell’organismo, che ha parlato di molte pressioni esercitate sul voto. Ieri, intanto, il presidente francese, Sarkozy, si è “caldamente” congratulato con il collega Putin per la vittoria del suo partito, mentre Washington ha fatto sapere che Bush non telefonerà al leader del Cremlino. Nonostante le preoccupazioni espresse da Roma, Berlino e Londra, per Putin l’esito delle elezioni “rafforza la legittimità del parlamento” ed è segno che “il popolo russo vuole la stabilità”.

Raid aereo israeliano nella Striscia di Gaza
Tre palestinesi membri delle Brigate Ezzedin Al-Qassam, il braccio armato di Hamas, sono stati uccisi la notte scorsa in un raid aereo israeliano nella Striscia di Gaza. Intanto, le autorità dello Stato ebraico hanno rafforzato le misure di sicurezza attorno al premier, Ehud Olmert, nel timore che i lanci di razzi da parte di estremisti palestinesi possano interessare anche la sede del parlamento.

Afghanistan: attentato kamikaze a Kabul
Non si fermano le azioni della guerriglia in Afghanistan. Ha provocato 22 feriti, tutti civili, fra i quali alcuni in gravi condizioni, l’attentato suicida che stamani ha preso di mira un convoglio della NATO a Kabul. L’azione terroristica, rivendicata dai talebeni, è avvenuta sulla strada per l’aeroporto proprio mentre era in corso la visita a sorpresa del segretario americano alla Difesa, Robert Gates.

Donna si fa esplodere nei pressi di un convento cristiano in Pakistan
Kamikaze in azione anche a Peshawar, nella zona nordoccidentale del Pakistan. Si tratta di una donna che si è fatta saltare in aria nei pressi della scuola dell’Istituto cristiano di Santa Maria. L’unica vittima dell’attacco è l’attentatrice che non è riuscita a superare uno dei posti di blocco della polizia. Obiettivo dell’azione alcuni uffici dell’intelligence che si trovano nella zona. Intanto, sul piano politico in nottata i due maggiori leader dell’opposizione, gli ex premier Benazir Bhutto e Nawaz Sharif, si sono incontrati per definire le intese da sottoporre al presidente Musharraf, al fine evitare il boicottaggio delle legislative in programma l’8 gennaio. I due rappresentanti contestano il clima illiberale in atto nel Paese.

Al Qaeda chiede attentati in Iraq
Il leader di Al Qaeda in Iraq, Abu Omar al-Baghdadi, ha lanciato un messaggio via internet esortando i miliziani a riprendere gli attacchi contro le forze di sicurezza locali. In mattinata, a Mosul, un civile è morto e un altro è rimasto ferito per l’esplosione di un ordigno, mentre a Baghdad la guerriglia ha colpito l’abitazione del ministro dell’Elettricità, provocando il ferimento di due sue guardie del corpo.

Preoccupa la situazione umanitaria in Somalia
Difficoltà per il nuovo governo somalo, varato domenica scorsa dal neo premier, Nur Hassan Hussein. In queste ore, quattro ministri si sono già dimessi, lamentando una scarsa rappresentanza della propria etnia. Nel Paese, intanto, la situazione è sempre più drammatica. Centinaia di migliaia di civili sono fuggiti dalla capitale Mogadiscio, ormai da tre settimane teatro di indicibili orrori. A decine di chilometri dalla città, i campi degli sfollati sorgono spontanei e risultano difficilmente accessibili ai pochi operatori umanitari ancora presenti nel Paese. Per sapere di più sulla crisi umanitaria somala, Stefano Leszczynski ha raggiunto telefonicamente Davide Bernocchi, direttore di Caritas Somalia:RealAudioMP3

 
R. - I civili continuano ad essere vittime delle violenze che sono scaturite ormai mesi fa a seguito della ribellione di un gruppo di clan, che si sono poi riuniti ad e-lementi più estremisti degli islamisti e, dall’altra parte, del governo contro queste persone, spalleggiato dalle truppe etiopi. La situazione purtroppo non si è sblocca-ta, nonostante diversi tentativi, tra cui un Congresso di riconciliazione nazionale, svoltosi quest’estate, che però non ha portato nessun risultato concreto.

 
D. - Centinaia di migliaia sono ormai i profughi che si accampano un po’ dovunque. Come viene fronteggiata anche da parte della Caritas questa emergenza?

 
R. - Uno dei problemi fondamentali di questa crisi umanitaria sta proprio nel fatto che è molto difficile per le organizzazioni di solidarietà portare aiuti e raggiungere i campi nei quali questi profughi si rifugiano. Campi che, peraltro, sono semplicemente dei campi informali, in quanto questi profughi devono procurarsi da sé tutto ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere. Caritas sta operando in questo momento attraverso "Islamic Release", un’organizzazione umanitaria di ispirazione islamica, che ha la propria base a Londra e sin dall’inizio della crisi è stata presente in Somalia per soccorrere i profughi. Direi che in un momento, anche in un contesto in cui l’opposizione delle identità è la norma, questo è un segno di collaborazione molto importante.

 
D. - Cosa raccontano i profughi della situazione nelle zone dalle quali stanno fuggendo?

 
R. - La violenza e l’insicurezza a cui questa gente è abituata da più di 16 anni, in questo momento, raggiunge delle punte davvero inaudite. Non c’è più distinzione tra civili, militari e, purtroppo - così come anche il governo americano ha denunciato non molto tempo fa - la violenza proviene sia dai soldati etiopi che da quelli del governo e dai ribelli. Questa è la situazione veramente tragica, che la gente si trova ad affrontare. Il fatto che molte persone restino, comunque, nei dintorni di Mogadiscio significa che conservano la speranza di poter far ritorno nella capitale a breve.

Sciopero dei minatori in Sudafrica
Chiedono maggiori misure di sicurezza nelle 700 miniere del Sudafrica le migliaia di operai scesi oggi in piazza a Johannesburg. L’odierna giornata di sciopero - afferma NUMSA, la principale organizzazione sindacale - potrebbe essere esteso ulteriormente se non arriveranno risposte soddisfacenti. In Sudafrica, dove vi sono alcuni dei principali giacimenti di oro e di platino del mondo, sono già stati più di 190 i minatori morti quest’anno, che si aggiungono ai 200 dell’anno scorso.

Al Vienna, la terza Conferenza internazionale sulle "cluster bomb"
Prende il via a Vienna, in Austria, la Terza Conferenza Internazionale del “Processo di Oslo” per la messa al bando delle munizioni a grappolo. Il “Processo di Oslo” è stato avviato nella capitale norvegese nel febbraio 2007 dai governi firmatari di una “Dichiarazione” per la messa al bando di questi ordigni entro il 2008 e la garanzia dell’assistenza alle vittime. Nel mese di maggio, una prima bozza del Trattato è stata discussa alla seconda Conferenza, svoltasi a Lima: dalla Conferenza di Vienna si attendono progressi sull’accordo dei Paesi coinvolti. Sulla gravità del problema delle cluster bomb, Stefano Leszczynski ha intervistato Simona Beltrami, portavoce della Campagna internazionale contro le mine:RealAudioMP3


R. - L’allarme è stato causato appunto dall’uso di queste armi in diversi conflitti. In questo momento, ci sono una trentina di Paesi colpiti da contaminazioni di dimensione cluster, si va dal Laos che è stato colpito durante la guerra del Vietnam degli anni ’70, fino appunto al Libano di oggi, passando per Afghanistan, Iraq, Kosovo. Osservandone gli effetti, si comprende che se si lasciano proliferare liberamente produzione ed uso di queste armi ci si può trovare veramente davanti a livelli di contaminazione del territorio, a livelli di perdita di vite umane e di danni all’economia veramente incalcolabili.

 
D. - Tanti gli stati che cercano ad arrivare ad un Trattato che vieti la produzione e l’utilizzo di questi armamenti…

 
R. - Il numero degli Stati che sta cercando di arrivare entro la fine del 2008 ad un Trattato che proibisca l’uso della produzione, lo stoccaggio, il commercio di questi armamenti, sta crescendo di giorno in giorno. Siamo partiti con un piccolissimo gruppo di cinque o sei Stati alla fine dell’anno scorso. Adesso, si sono aggiunti altri fino a raggiungere il numero di almeno 80 Stati che già hanno ufficialmente dichiarato il loro sostegno per un Trattato di questo genere. Alla Conferenza di Vienna, proprio per negoziare il testo di questo Trattato saranno presenti 127 Stati. Un numero, dunque, che continua a crescere.

 
D. - Quali sono gli ostacoli al raggiungimento di un Trattato, di un accordo, di questo tipo?

 
R. - Intanto, si oppongono Stati Uniti, Russia e Cina che già sono assenti dal Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine, e che ovviamente hanno degli interessi di natura militare ed economica a continuare la produzione e l’uso di queste armi.

UE scettica sui negoziati per il Kosovo
Scetticismo per un buon esito dalla trattativa per lo status del Kosovo è stato espresso dal negoziatore europeo incaricato da Stati Uniti, Russia ed UE di trovare una soluzione per il futuro della provincia serba a maggioranza albanese. Dopo 120 giorni di negoziati tra le parti, non si è giunti ad alcuna intesa e il dialogo continuerà dal 19 dicembre al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Dal canto suo, il vice premier serbo, Bozidar Delic, ha rivolto un appello in favore di un prolungamento dei negoziati. Lo ha fatto durante una conferenza sui Balcani organizzata a Bruxelles dall’associazione Amici d’Europa, precisando che “la Serbia è pronta a concedere ai kosovari un livello di autonomia che nessuna regione al mondo ha mai ottenuto”.

Il re del Belgio chiede un nuovo governo
Nel tentativo di risolvere la crisi in cui versa il Belgio, il re Alberto II ha incaricato il premier uscente, Guy Verhofstadt, di dar vita ad un esecutivo capace di traghettare il Paese alle elezioni del 2009. Dalla tornata elettorale dello scorso mese di giugno, il Belgio non ha un governo in quanto il vincitore, Yves Leterme, non è riuscito a formarlo.

Pechino conferma visita del presidente in Giappone l'anno prossimo
Il presidente cinese, Hu Jintao, visiterà il Giappone nel 2008. Lo ha affermato in conferenza stampa il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino. La data precisa non è stata ancora definita tuttavia la visita sancirebbe un netto miglioramento delle relazioni fra i due Paesi. Hu sarebbe infatti il primo capo di Stato cinese a recarsi a Tokio negli ultimi dieci anni. (Panoramica internazionale a cura di Eugenio Bonanata)



Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI no. 338
 
E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.







All the contents on this site are copyrighted ©.