Venezuela: bocciata, a sorpresa, la riforma di Chávez per portare il Paese verso il
socialismo
In Venezuela gli elettori hanno bocciato a sorpresa, nel referendum di ieri, le riforme
costituzionali proposte dal presidente venezuelano Chávez. Riforme che avrebbero tolto
ogni limite al mandato del capo dello Stato con l'obiettivo di costruire nel Paese
"il socialismo del 21.mo secolo". Di misura la vittoria dei "no": 51% contro il 49%
dei "sì". Forte l'astensione che ha toccato quasi il 45%. Chávez ha ammesso la sconfitta,
la prima in nove anni di potere. Ce ne parla Maurizio Salvi:
Una
lunga attesa dopo la chiusura delle urne e, quindi, il risultato che ha sorpreso prima
di tutto lui, il presidente Hugo Chávez, che fino all’ultimo, coerente con il suo
carattere, non deve mai aver preso in considerazione l’ipotesi di una possibile sconfitta.
Quando il clima, stanotte, a Caracas si stava facendo molto teso per l’esigenza del
“Fronte del no alla riforma della Costituzione” di ottenere un primo bollettino ufficiale
sui risultati, la presidente della Consiglio nazionale elettorale, Tibisay Lucena
ha letto il clamoroso annuncio. In molti quartieri del centro di Caracas - storicamente
ostili al leader bolivariano - è scoppiata subito la gioia, con fuochi d’artificio
e con la gente che è scesa in strada per festeggiare. La modifica di 69 dei 350 articoli
della Costituzione torna, quindi, nel cassetto del presidente Chávez che, comunque,
governerà il Venezuela fino al 2012, anche se durante una conferenza stampa ha assicurato
che questa proposta di portare il Paese verso il socialismo è ancora viva. “All’opposizione
dico – ha concluso – che il Venezuela è una vera democrazia e che non c’è bisogno
di cospirazioni e complotti per vincere”. (Da Caracas, Maurizio Salvi, Ansa, per la
Radio Vaticana)
Sul significato del voto referendario
in Venezuela ascoltiamo il commento del nostro collega Luis Badilla, esperto
di questioni latinoamericane:
Tre
sono le principali considerazioni che si possono fare a caldo. La prima riguarda la
sconfitta non solo dell’uomo politico Hugo Chávez ma anche, ed è forse più rilevante,
dello “chavismo”, vale a dire del metodo di governo plebiscitario con continui appelli
diretti alle masse e con l’uso e abuso del metodo referendario. Il presidente, che
ha avuto la correttezza di riconoscere subito la sua sconfitta, ora dovrà comprendere
che non si governa trascinando le masse sulle piazze e intimorendo le opposizioni.
Le opposizioni venezuelane, seppure deboli, sfinite e divise, possono ora riorganizzare
le proprie forze per dare un grande contributo alla dialettica democratica che, in
questi anni, in sostanza, non è mai esistita.
La
seconda considerazione porta diritto al resto dell’America Latina, e soprattutto a
tre Paesi: Nicaragua, Bolivia ed Ecuador, dove il “metodo Chávez” aveva trovato sostegno
e imitatori. L’intera politica latinoamericana nonché tutti i governanti dovranno
prendere atto di un nuovo balzo in avanti della coscienza democratica della regione.
I latinoamericani non solo vogliono vivere in democrazia, ma sanno anche distinguere
quella sana da quella malata, quella vera e produttiva da quella demagogica e dannosa.
Non solo: il verdetto venezuelano dimostra che questa maturità è tale che non bastano
i “canti delle sirene di Maracaibo” (lavorare 6 ore e non 8, votare a 16 anni, denaro
del petrolio per combattere la povertà …). Al posto dell’interesse immediato, e forse
egoistico seppure legittimo, la maggioranza dei cittadini ha scelto di guardare “in
alto” e ha scelto di difendere le libertà civiche, la stampa libera, il diritto ad
un’istruzione pluralista, la separazione dei poteri dello Stato e l’alternanza democratica.
In terzo luogo c’è da riflettere sul fatto che la popolazione
del Venezuela oggi più che mai appare divisa a metà: una parte col presidente e l’altra
metà decisamente contro. E’ una situazione precaria e piena di insidie. Oggi, le responsabilità
delle autorità e dei leader delle opposizioni, sono grandissime. Spetta a loro traghettare
il Paese verso il dialogo nel rispetto dei legittimi interessi di tutti senza cedere
mai alla violenza. Le premesse ci sono tutte.
A
chiusura va ricordato che la vittoria del “no” ad una riforma costituzionale che rappresentava
solo una parte del Paese è stata possibile, nonostante le condizioni difficilissime,
grazie a due fattori: il primo, l’entusiasmo e l’impegno di ampi settori giovanili
che hanno capito che era in gioco la libertà del Paese e, il secondo, la mobilitazione
del pensiero e della cultura, livelli in cui la Chiesa cattolica, contraria agli emendamenti
costituzionali, ha lavorato con disinteresse e coraggio. In questa lunga controversia
l’avversario più agguerrito è stato il pensiero e la riflessione di migliaia di intellettuali,
accademici, uomini di scienza e cultura che hanno saputo trasmettere la necessità
di distinguere fra l’interesse immediato e i grandi valori comuni di tutta la nazione.