Un’Enciclica che esorta i cristiani a vivere intensamente la Speranza evangelica:
il commento sulla “Spe Salvi” del teologo don Salvatore Vitiello
“Chi ha speranza vive diversamente” giacché “gli è stata donata una vita nuova”: è
uno dei passaggi della “Spe Salvi” di Benedetto XVI. Dopo l’Enciclica sull’amore cristiano,
dunque, il Papa offre ai cristiani, ma in fondo a tutti gli uomini di buona volontà,
un’appassionata riflessione sulla Speranza nel Dio dal Volto umano. Per un commento
sui caratteri distintivi della seconda Enciclica di Benedetto XVI, Alessandro Gisotti
ha intervistato don Salvatore Vitiello, docente di Introduzione alla Teologia
all’Università Cattolica di Roma: R.
– Credo che l’invito debba essere sempre quello di leggere i testi fino in fondo e
a farne oggetto di meditazione, perché il Papa conduce il lettore ad un’analisi non
soltanto dei grandi temi filosofici e teologici contemporanei, ma anche ad una lettura
introspettiva. Mettere il proprio cuore al centro e dire davvero: “Tu, uomo di ogni
tempo, che cosa desideri fino in fondo?”. La risposta è unica: l’uomo desidera la
vita, e la vita che sia vita piena, che sia vita eterna, cioè una vita così vita che
non può finire. E il Papa dice con grande chiarezza: questo è l’oggetto della speranza
cristiana, una vita che non finisce, una vita così intensa che non può finire. Solo
Cristo, che vince la morte, è garante di questa vita che viene da Dio.
D.
– In questa Enciclica dedicata alla Speranza, con la “S” maiuscola, e dunque all’attesa
del Signore che viene, il Papa sottolinea che la fede attira dentro il presente il
futuro. Dunque, c’è una forte dimensione escatologica nella “Spe salvi”...
R.
– Direi di sì. E c’è anche una correzione di un certo escatologismo che non è mai
stato veramente cristiano. Cioè, possiamo dire due cose: il rischio di una tensione
escatologica è quello di presentare un cristianesimo che non abbia rapporto con la
realtà, un cristianesimo che io definirei “evaporato” in un futuro che ancora non
c’è. Il rischio opposto è quello, che forse oggi si corre un po’ di più, è quello
di ridurre il cristianesimo ad una semplice dimensione immanente, cioè il cristianesimo
come risposta ai problemi sociali ed economici. Tutte e due le posizioni hanno un
limite perché censurano la complementarietà dell’altro. Allora, la vera concezione
che il Papa ripropone con forza è questa: “Uomini del nostro tempo, non dimentichiamo
che il cristianesimo vive sempre nella tensione tra il “già” e il “non ancora”, e
il Papa, in questo squarcio che dà, credo voglia rilanciare questa tensione che oggi
forse è venuta un po’ meno. Siamo tutti in qualche modo immersi in questo materialismo
che ha invaso la cultura occidentale. Quindi, richiamare il cristianesimo a questa
prospettiva escatologica è oggi fondamentale.
D.
– Nella seconda parte dell’Enciclica, dedicata ai luoghi di apprendimento e di esercizio
della speranza, Benedetto XVI sottolinea che la fede nel Giudizio finale è “innanzitutto
e soprattutto speranza”...
R. – Il Papa, proprio
perché l’Enciclica parte dalla valutazione e dalla valorizzazione di due facoltà dell’uomo
che sono straordinarie, cioè la ragione e la libertà, giunge a dire che proprio nel
rispetto della libertà dell’uomo l’Inferno – come dice la Dottrina cattolica – è una
reale possibilità. Di fronte al Giudizio universale, di fronte al giudizio ultimo,
il Papa dice: “Il Giudizio non sarà un colpo di spugna, giustamente, proprio in nome
del rispetto della libertà dei singoli uomini”. Proprio per questo, il giudizio ultimo
dev’essere guardato nella luce della speranza, cioè la speranza per ciascuno è quella
della salvezza e questa speranza diventa attiva, diventa attuale nella vita di ciascuno
attraverso le scelte che continuamente, giorno dopo giorno, ciascun cristiano e ciascun
uomo di buona volontà fa.
D. – In questi giorni,
molti mass media piuttosto che concentrarsi sui contenuti dell’Enciclica, hanno voluto
creare “il caso”, facendo dire al Papa in un discorso alle ONG cattoliche, parole
contro l’ONU che non ha mai pronunciato. Cosa dire di questa ennesima deformazione
del magistero di Benedetto XVI?
R. – Credo che si
possano dire due cose: la prima, è che il magistero di Benedetto XVI è un magistero
assolutamente qualificato, come sempre del resto il magistero pontificio, che esige
uno studio, un’applicazione e non tutti i giornalisti, a volte, hanno gli strumenti
per comprendere fino in fondo cosa il Papa dice, afferma. Dunque, è molto più semplice
andare per slogan, magari precostituiti, che non fare la fatica di – come diceva Romano
Guardini – “obbedire alla pagina”, e quindi leggere attentamente il documento e comprendere
esattamente cosa dice. Secondo, evidentemente, ci sono forze di potere che si scatenano
di fronte ad un magistero così nobile, così grande che richiama l’uomo ai suoi valori
fondamentali, soprattutto che richiama la ragione e la libertà dell’uomo.