Un lavoro dignitoso per i portatori di handicap: è l'appello lanciato dall'ONU nell'odierna
Giornata internazionale delle persone disabili
Un abitante del mondo su 10 ha una disabilità, per un totale di 650 milioni di persone
di cui 470 milioni in età lavorativa. Il dato è contenuto nel rapporto curato dall’ILO,
l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, per l’odierna Giornata Internazionale
delle Persone Disabili sul tema “Un lavoro dignitoso per le persone con disabilità”.
Sono ancora molte le barriere di accesso al mondo dell’occupazione che un disabile
deve affrontare: lo sottolinea in un messaggio il segretario generale delle Nazioni
Unite, Ban Ki-Moon, che definisce la situazione “deplorevole” evidenziando come numerosi
Paesi non abbiano ancora leggi che tutelino i disabili. Paolo Ondarza ha parlato
della situazione con Giovanni Ferrero, direttore della Consulta italiana per
le persone in difficoltà.
R. –
Se alla persona con disabilità vengono dati gli strumenti necessari per svolgere un
impiego è un lavoratore come un altro. Purtroppo, si pensa ancora oggi, nel 2007,
che la persona con disabilità sia un peso: l’azienda pensa di assumere una persona
che poi deve mettere in un angolo e mantenere.
D.
– Una volta superata la difficoltà dell’accesso al lavoro, anche nell’ambito lavorativo
si incontrano delle difficoltà come l’emarginazione...
R.
– Oggi, da parte delle persone, c’è più sensibilità di una volta. La persona con disabilità
che entra in un contesto lavorativo, inizialmente viene vista come diversa: in realtà
siamo tutti diversi, e questa è la risorsa della società. Ma devo dire che i problemi
iniziali, anche quelli culturali, con il tempo vengono superati.
D.
– Senza dimenticare quelli che sono i problemi di accesso fisico al posto di lavoro.
Pensiamo ai trasporti, alle barriere architettoniche...
R.
– Quando inizieremo a pensare che la persona con disabilità è una risorsa sia a livello
produttivo per la società, sia a livello di consumo – quindi il disabile può portare
soldi, perché purtroppo la società di oggi è basata su questo - allora l’esercente
toglierà il gradino, l’hotel eliminerà le barriere architettoniche... Negli Stati
Uniti, la persona umana viene sempre vista come risorsa e, quindi, anche la persona
con disabilità. Nei Paesi della vecchia Europa – Italia, Francia, Germania... – i
problemi sono abbastanza similari, con la differenza che forse in Italia la persona
disabile è ancora associata all’assistenzialismo, quindi viene percepita come un peso
per la società.
D. – Che tipo di caratteristiche
possiamo inquadrare all’interno della parola più generica “disabilità”?
R.
– La disabilità fisica, che impedisce a una persona di camminare, la disabilità intellettiva,
quella sensoriale: quindi i non vedenti, i sordomuti e così via. Nei Paesi in via
di sviluppo è prevalente il numero di disabili dalla nascita. Invece, nei Paesi sviluppati
sono in maggioranza i disabili incidentati. Cosa vuol dire? Che forse nei Paesi in
via di sviluppo, essendoci una carenza sanitaria, è più difficile guarire. Vorrei
però aggiungere una cosa: ho potuto fare un’esperienza in Africa e lì una persona
con disabilità viene accolta da subito, cosa che invece qui non succede. Le persone
vogliono sapere se un figlio “è bello, alto e biondo”. Se scoprono che non è “bello,
alto e biondo” tendono a ricorrere all’interruzione di gravidanza.
D.
– Vogliamo parlare anche dei progressi, a livello sociale, che nel mondo sono stati
fatti...
R. – Pensiamo solamente che è stata emanata
recentemente dalle Nazioni Unite la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità.
118 Paesi del mondo l’hanno già firmata in pochi mesi: significa che il mondo sta
girando per il verso giusto!