Presentata la nuova Enciclica di Benedetto XVI "Spe salvi": "nella speranza siamo
stati salvati"
Il Papa ha firmato questa mattina alle 11.00 nella Biblioteca del Palazzo Apostolico
la sua seconda Enciclica: è intitolata “SPE SALVI” e parte da un passo della Lettera
di San Paolo ai Romani (Rm 8,24): “nella speranza siamo stati salvati”. Il documento
è stato poi presentato nella Sala Stampa vaticana. Ecco una sintesi dell'Enciclica
curata da Sergio Centofanti:
“La
redenzione, la salvezza, secondo la fede cristiana – spiega il Papa nell’introduzione
– non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata
donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare
il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed
accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri,
se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino”. (1)
Perciò
“elemento distintivo dei cristiani” è “il fatto che essi hanno un futuro: … sanno
… che la loro vita non finisce nel vuoto”. Il Papa sottolinea che il messaggio cristiano
non è solo “informativo”, ma “performativo”. Questo significa che “il Vangelo non
è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione
che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata
spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”.
Sulla scia di San Paolo, il Papa esorta i cristiani a non affliggersi “come gli altri
che non hanno speranza” e con San Pietro ci invita a rispondere a chiunque ci domandi
ragione della speranza che è in noi. (2)
“Giungere
a conoscere Dio – il vero Dio, questo significa ricevere speranza”. Questo lo comprendevano
bene i primi cristiani, come gli Efesini, che prima di incontrare Cristo avevano molti
dèi ma vivevano “senza speranza e senza Dio”. Il problema per i cristiani di antica
data – sottolinea - è l’abitudine al Vangelo: la speranza “che proviene dall’incontro
reale con … Dio, quasi non è più percepibile”. Qui il Papa cita un primo testimone
della speranza cristiana: Santa Giuseppina Bakhita. Nata nel 1869 nel Darfur, in Sudan,
viene rapita a nove anni e venduta come schiava: dopo prove terribili giunge in Italia
dove conosce “la grande speranza” e può dire: “io sono definitivamente amata e qualunque
cosa accada – io sono attesa da questo Amore”. (3)
Il
Papa ricorda che Gesù non ha portato “un messaggio sociale-rivoluzionario” come Spartaco,
e “non era un combattente per una liberazione politica, come Barabba o Bar-Kochba”.
Ha portato “qualcosa di totalmente diverso: … l’incontro con il Dio vivente … l’incontro
con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo
trasformava dal di dentro la vita e il mondo”, “anche se le strutture esterne rimanevano
le stesse”. (4)
Cristo ci rende veramente liberi:
“Non siamo schiavi dell’universo” e delle “leggi della materia e dell’evoluzione”.
San Gregorio Nazianzeno vede nei Magi guidati dalla stella “la fine dell’astrologia”,
una concezione – afferma il Papa – “nuovamente in auge anche oggi”: “non sono gli
elementi del cosmo … che in definitiva governano il mondo e l’uomo, ma un Dio personale
governa le stelle, cioè l’universo”. Siamo liberi perché “il cielo non è vuoto”, perché
il Signore dell’universo è Dio che “in Gesù si è rivelato come Amore”. (5)
Cristo
è il “vero filosofo” che “ci dice chi in realtà è l’uomo e che cosa egli deve fare
per essere veramente uomo”. “Egli indica anche la via oltre la morte; solo chi è in
grado di fare questo, è un vero maestro di vita”. (6) E ci offre una speranza che
è insieme attesa e presenza: perché “il fatto che questo futuro esista, cambia il
presente”. Infatti “per la fede … sono già presenti in noi”, ad uno stato iniziale,
“le cose che si sperano: il tutto, la vita vera”. Il futuro è attirato “dentro il
presente” e noi lo possiamo già percepire e “questa presenza di ciò che verrà crea
anche certezza”, “costituisce per noi una ‘prova’ delle cose che ancora non si vedono”.
(7)
Questa speranza non è qualcosa ma Qualcuno: non
è fondata su cose che passano e ci possono essere tolte, ma su Dio che si dona per
sempre: per questo è una speranza che libera e permette a tanti cristiani di abbandonare
tutto “per amore di Cristo” come ha fatto San Francesco e di affrontare le persecuzioni
e il martirio opponendosi “allo strapotere dell’ideologia e dei suoi organi d’informazione”
rendendoli così capaci di rinnovare il mondo. (8)
Il
Papa rileva che “forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la
vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna,
ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra , per questo scopo, piuttosto
un ostacolo”. (10) “L’attuale crisi della fede – prosegue - è soprattutto una crisi
della speranza cristiana”. “La restaurazione del paradiso perduto, non si attende
più dalla fede” ma dal progresso tecnico-scientifico, da cui – si ritiene - potrà
emergere “il regno dell’uomo”. La speranza diventa così “fede nel progresso” fondata
su due colonne: la ragione e la libertà che “sembrano garantire da sé, in virtù della
loro intrinseca bontà, una nuova comunità umana perfetta”. “Il regno della ragione
… è atteso come la nuova condizione dell’umanità diventata totalmente libera”. (17-18)
“Due tappe essenziali della concretizzazione politica di questa speranza” sono state
la Rivoluzione francese (19) e quella marxista. Di fronte agli sviluppi della Rivoluzione
francese, “l’Europa dell’Illuminismo … ha dovuto riflettere in modo nuovo su ragione
e libertà”. La rivoluzione proletaria d’altra parte ha lasciato “dietro di sé una
distruzione desolante”. “L’errore fondamentale di Marx” è stato questo: “ha dimenticato
l’uomo e ha dimenticato la sua libertà… Credeva che una volta messa a posto l’economia
tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo”. (20-21) “Diciamolo
ora in modo molto semplice – scrive il Papa : l’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti
resta privo di speranza”. (23) “L’uomo non può mai essere redento semplicemente” da
una struttura esterna. “Chi promette il mondo migliore che durerebbe irrevocabilmente
per sempre fa una promessa falsa”. Così sbagliano quanti credono che l’uomo possa
essere redento mediante la scienza. “La scienza … può anche distruggere l’uomo e il
mondo”. “Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore”.
Un amore incondizionato, assoluto : “La vera grande speranza dell’uomo, che resiste
nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci
ama tuttora sino alla fine”. (24-26)
Il Papa indica
quattro luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza. Il primo è la preghiera:
“Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora … se non c’è più nessuno che
possa aiutarmi … Egli può aiutarmi”. Il Papa ricorda l’esperienza del cardinale vietnamita
Van Thuan, per 13 anni in carcere, di cui 9 in isolamento: “in una situazione di disperazione
apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il poter parlargli, divenne per lui una crescente
forza di speranza”. (32-34)
Accanto alla preghiera
c’è poi l’agire. “La speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri.
Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo” affinché “il mondo diventi un po’ più
luminoso e umano. E solo se so che “la mia vita personale e la storia nel suo insieme
sono custodite nel potere indistruttibile dell’amore” io “posso sempre ancora sperare
anche se … non ho più niente da sperare”. E “nonostante tutti i fallimenti” questa
speranza mi dà “ancora il coraggio di operare e di proseguire”. (35)
Anche
il soffrire è un luogo di apprendimento della speranza. “Certamente bisogna fare tutto
il possibile per diminuire la sofferenza”: tuttavia “non è la fuga davanti al dolore
che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa maturare,
di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore”.
Qui il Papa cita un altro testimone della speranza, il martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin,
morto nel 1857. Fondamentale è poi saper soffrire con l’altro e per gli altri. “Una
società che non riesce ad accettare i sofferenti …è una società crudele e disumana”.
(36-39)
Infine, altro luogo di apprendimento della
speranza è il Giudizio di Dio. “La fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto
speranza”: “esiste la risurrezione della carne. Esiste una giustizia. Esiste la ‘revoca’
della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto”. Il Papa si
dice “convinto che la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale,
in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna”. E’ impossibile
infatti “che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola”. “Dio è giustizia e crea
giustizia. E’ questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma nella sua giustizia
è insieme anche grazia”. “La grazia non esclude la giustizia…I malvagi alla fine,
nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime,
come se nulla fosse stato”. Il Papa ribadisce la dottrina sull’esistenza del purgatorio
e dell’inferno. Tuttavia se il Giudizio di Dio “fosse pura giustizia, potrebbe essere
alla fine per tutti noi solo motivo di paura”. Invece è anche grazia e questo “consente
a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo
come nostro ‘avvocato’”. (41-47)
Nei capitoli sul
Giudizio finale Benedetto XVI inserisce una riflessione sull'ateismo del XIX e del
XX secolo: si tratta di "una protesta contro le ingiustizie del mondo" - nota - che
diventa "protesta contro Dio". "Se di fronte alla sofferenza di questo mondo la protesta
contro Dio è comprensibile, la pretesa che l'umanità possa e debba fare ciò che nessun
Dio fa né è in grado di fare, è presuntuosa ed intrinsecamente non vera. Che da tale
premessa siano conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non
è un caso - aggiunge - ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa". (42)
Benedetto
XVI poi ribadisce: “La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per
gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo
mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche:
che cosa posso fare perché altri vengano salvati …? Allora avrò fatto il massimo anche
per la mia salvezza personale. (48)
Nell’ultimo capitolo
rivolge la sua preghiera a “Maria, stella della speranza”:
“Madre
di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via
verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!”
(49-50)