Oggi la pubblicazione dell'Enciclica di Benedetto XVI "Spe salvi": "nella salvezza
siamo stati salvati"
Attesa nel mondo ecclesiale e non solo per la pubblicazione della seconda Enciclica
di Benedetto XVI, intitolata “Spe salvi”, ovvero “Salvati nella speranza”, che giunge
a quasi due anni dalla precedente Enciclica “Deus caritas est”. Il nuovo documento
pontificio verrà presentato questa mattina nella Sala Stampa vaticana dai cardinali
Georges Cottier e Albert Vanhoye. Un tema, quello della speranza, che interpella cristiani
e non cristiani, come sottolinea padre Enzo Bianchi, priore della Comunità ecumenica
di Bose, intervistato da Roberta Gisotti:
D. – “Salvati
nella speranza”: padre Bianchi, i cristiani oggi forse difettano di speranza o dimenticano
di mostrarla al mondo ... Questo può indebolire la loro testimonianza?
R. –
Io credo che i cristiani oggi abbiano deboli tutte e tre le virtù teologali. C’è indubbiamente
una debolezza della fede, di conseguenza una debolezza della speranza e anche una
debolezza della carità teologale, quella che viene da Dio, che non va confusa con
la filantropia. Indubbiamente, oggi siamo all’interno di quella che i sociologi definiscono
una società depressa, una società liquida, una società addirittura triste. Certamente,
questo anche a causa della mancanza della speranza. E questa cultura dominante minaccia
fortemente la fede dei cristiani. Ma se i cristiani non sanno sperare, significa che
non sanno neanche percepire le realtà invisibili, non percepiscono neanche un fine,
uno scopo e, quindi, è minacciata la loro stessa ricerca di senso.
D. – Padre
Bianchi, fede e speranza e carità sono sempre indissolubili?
R. – Sempre indissolubili,
una legata all’altra. Io credo che il Papa, dopo averci dato quella straordinaria
Enciclica sulla carità, adesso ci sta dando questa Enciclica sulla speranza e ci darà
poi un’Enciclica anche sulla fede, perché in realtà sono tre virtù in dinamica tra
di loro, ma essenziali perché uno sia credente e abbia un’adesione al Signore Gesù
Cristo.
D. – Padre Bianchi, la speranza è qualcosa che ci porta a pensare
positivo, in controtendenza con un sistema mediatico globale che non fa che propagare
i misfatti dell’umanità, senza dare un senso a tanto male e, spesso, anche occultando
il bene...
R. – Certamente, ma direi ancora di più, perchè la speranza non
è solo avere uno sguardo positivo, uno sguardo ottimista sulle cose, la speranza è
molto più profonda: è vedere che in tutte le cose, anche là dove appare il male, c’è
la vittoria del bene, là dove appare la morte, c’è la vittoria della vita, là dove
appare il nonsenso, c’è la possibilità di trovare cammini di umanizzazione e cammini
che ci portano ad una trasfigurazione, alla salvezza. Per questo è molto importante
anche il titolo dell’Enciclica. Noi siamo salvati in speranza, perché la salvezza
agisce già in noi oggi, nelle nostre vite, ma ci muoviamo verso quella salvezza totale
che è salvezza dalla morte.
D. – Come partecipare la speranza cristiana a
chi è estraneo o lontano dalla fede?
R. – Con la nostra vita. Noi cristiani
dobbiamo avere una vita che dica la speranza che è in noi. Il Nuovo Testamento, l’apostolo
Pietro, l’apostolo Paolo, ci ricordano che proprio perché Cristo è la nostra speranza,
allora questa speranza in noi deve essere visibile, deve essere raccontata agli uomini,
che vedendo come noi viviamo vedono che noi non siamo alienati sotto la paura, il
peso della morte o del male, ma che noi abbiamo davvero questa capacità di vedere
ciò che ci sta davanti come una promessa, promessa di salvezza, di pienezza, che viene
da Dio.