Alla Conferenza di Annapolis, presente anche la Santa Sede con una delegazione guidata
da mons. Parolin
E’ tutto pronto ad Annapolis per la conferenza di pace sul Medio Oriente. Il premier
israeliano, Ehud Olmert, e il presidente palestinese, Abu Mazen, sono giunti negli
Stati Uniti ed entrambi hanno espresso l’auspicio per “negoziati seri”. Per la Casa
Bianca, l’obiettivo rimane quello della stesura di un documento finale, nonostante
finora non si sia trovato alcun accordo. Alla Conferenza, partecipa anche la Santa
Sede con una delegazione guidata dal sottosegretario per i Rapporti con gli Stati,
mons. Piero Parolin. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
L’obiettivo,
fissato dal presidente statunitense, George Bush, è la convivenza “tra due Stati democratici,
Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza”. Non mancano
segnali positivi: il portavoce del Ministero degli esteri dello Stato ebraico ha confermato
che i negoziatori israeliani e palestinesi hanno compiuto “importanti progressi verso
un comunicato congiunto”. In molti sono convinti che, anche se non produrrà nessun
risultato eccezionale, la conferenza di Annapolis sia comunque già un successo. E’
quanto sostiene, tra gli altri, l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Oded
Ben-Hur intervistato da Luca Collodi:
R.
- Annapolis è giù un gran successo, un grandissimo successo e questo anche un’ora
prima dell’apertura. E questo successo si trova nel fatto che finalmente - ripeto
finalmente - con grande gioia, con grande attesa e con grande realismo, il mondo arabo,
la maggior parte del mondo arabo, ha deciso di andare avanti, di accettare il fatto
che ci debba essere una via di uscita a queste tragedie che hanno colpito le due parti.
Dico, quindi, un grande successo. Grazie a Dio, per la prima volta, Annapolis e il
giorno dopo non dipenderanno molto dai titoli dei giornali ma dalla vera voglia del
mondo arabo e dei palestinesi - che penso nella maggior parte vogliano la pace e vogliano
essere lasciati in pace, che è per noi è la stessa cosa - di dare un avvio a questo
processo così voluto e così mancato. Ma nello Stato ebraico
e nei Territori palestinesi non mancano forti scetticismi. In Israele all’ottimismo
del premier, Ehud Olmert, si contrappone l’oltranzismo dell’ala dura della destra,
sia all’interno della coalizione di governo, sia del Likud. Al summit non è stato
invitato inoltre il movimento palestinese di Hamas, che ha già annunciato di voler
ignorare le decisioni del vertice. Nella Striscia di Gaza, per dimostrare che Abu
Mazen non gode dell’appoggio della popolazione di Gaza, Hamas ha anche indetto una
manifestazione davanti al parlamento. Alla protesta hanno aderito anche la Jihad
islamica e altri gruppi estremisti. Secondo alcuni osservatori, le intenzioni del
premier israeliano e del presidente palestinese possono poi diventare ostaggio di
pericolosi estremismi. Ascoltiamo al microfono di Fabio Colagrande,
il giornalista palestinese, Samir Al Qariouti, corrispondente
della radio televisione palestinese a Roma ed opinionista di diverse testate arabe
tra cui Al-Jazeera:
R. - I due che sono ostaggio dell’estremismo sono
entrambi deboli. Abu Mazen non ha una base popolare che lo può sostenere: ha tante
divergenze con Hamas, che naturalmente lo invia a questo vertice ancora più debole.
Olmert, da parte sua, cerca soltanto di arrivare ad un obiettivo personale: cancellare
il suo fallimento nella guerra del Libano. La partecipazione dei Paesi arabi è importante,
ma dovrebbe aiutare la pace e non fare un favore ad Israele, perché per partecipare
tutti alla fine poi non si ottiene niente.
D. - Come
la gente guarda a questo vertice? Avete dei riscontri?
R.
- Si riscontra che c’è molto scetticismo. Basta girare sui siti Internet. Da parte
israeliana ci sono tanti problemi nel Paese e ci sono tante dichiarazioni contraddittorie,
perché il problema è l’Iran e non la questione palestinese o la questione della pace
in Medio Oriente. Come quella di risolvere il problema dell’Iran.
Fa
comunque sperare l’ampia partecipazione internazionale: alla Conferenza, infatti,
prendono parte quasi 50 delegazioni. Quella della Santa Sede sarà guidata da mons.
Pietro Parolin, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati. Ci sono anche rappresentanti
sauditi e siriani. “La Siria - fanno sapere esponenti del governo di Damasco - continua
ad essere impegnata nell’iniziativa araba di pace”. La partecipazione saudita alla
conferenza riveste, infine, particolare importanza per il ruolo politico e religioso
di questo Paese nel mondo arabo. L'Arabia Saudita, che non ha rapporti con Israele
come la maggior parte degli arabi, propone la normalizzazione dei rapporti in cambio
di una pace globale.