2007-11-25 13:38:27

Vertice di Annapolis: invitata anche la Santa Sede


Tutto pronto negli Stati Uniti dove martedì ad Annapolis è in programma la conferenza di pace sul Medio Oriente. Al vertice - ha affermato oggi il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi - è stata invitata anche la Santa Sede. La composizione della delegazione vaticana sarà resa nota domani. Intanto, il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen sono giunti in America ed entrambi hanno espresso l’auspicio per “negoziati seri”. Hamas ha definito la partecipazione al vertice dell’Autorità Nazionale Palestinese “un tradimento” dell’eredità dell’Intifada di Arafat. Per Abu Mazen l’opposizione ha diritto di esprimere il proprio dissenso ma non bisogna trascurare l’importanza “storica” dell'evento. D'altra parte, secondo fonti diplomatiche, anche la Siria ha accettato di partecipare al vertice. Dunque speranze e scetticismo aleggiano attorno a questo appuntamento. Ma quali sono le aspettative della popolazione locale? Fabio Colagrande lo ha chiesto a padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa:RealAudioMP3


R. – Se devo essere sincero, qui in Terra Santa, da parte della gente non c’è tantissima attesa. C’è grande discussione in ambito politico e sui mass media, ma la gente ne parla poco, forse proprio perché la gente ha poca fiducia, purtroppo. Le aspettative sono quelle di sempre e cioè non certo quelle che si trovi una soluzione finale, perché questo appare impossibile adesso, ma che si mettano almeno le basi per un dialogo serio tra le parti.

 
D. – Come evitare che sia solo un’altra occasione per proclami del futuro e come far sì, invece, che possa diventare un’occasione per un vero accordo di pace?

 
R. – E’ importante che ci sia un impegno da ambo le parti, soprattutto riguardo alla formazione e al riconoscimento l’uno dell’altro, riguardo alla formazione nelle scuole – cosa, questa molto importante – ma che si possa soprattutto avere il coraggio di affrontare i nodi veri e, quindi, non soltanto rimanendo sui principi.

 
D. – Quali sono gli impegni che le due parti dovrebbero prendere proprio per andarsi incontro?

 
R. – Dal punto di vista pratico, della vita anche politica, ci sono problemi seri come anzitutto quello relativo alla mobilità all’interno dell’autonomia palestinese, al riconoscimento dell’autonomia e, quindi, dello Stato palestinese, dando però tutte le garanzie affinché questo avvenga. Dall’altro lato è, però, necessaria una garanzia da parte palestinese per un impegno serio e per evitare qualsiasi forma di violenza. Questo è il primo passo. Ci sono poi, certo, tutti gli altri aspetti politici più complicati come la questione di Gerusalemme, i profughi, etc. Quello che è importante in questa occasione – non possiamo certo aspettarci che possano essere risolti tutti i problemi – è che almeno il primo aspetto sia affrontato in maniera seria.

 
D. – Gli osservatori dicono che entrambe le parti sono ostaggi degli estremisti?

 
R. – E’ difficile dirlo, perché è vero che ci sono estremisti da ambo le parti, ma non credo che siano poi così forti. La maggioranza della gente, la maggioranza della popolazione è ormai stanca di questo conflitto, di questa situazione, che è divenuta logorante. Io sono convinto che se ci fosse un accordo serio ed ancorato al terreno, la gran parte della popolazione seguirebbe questo accordo.

 
D. – Lo scrittore israeliano Amos Oz ha detto che questa volta gran parte della responsabilità ricade sul governo israeliano perché è Israele ad avere il controllo dei territori e non il contrario…

 
R. – Questo è vero. Le responsabilità sono, però, di tutti - questo è chiaro - e non soltanto di Israele: c’è sempre la tendenza a scaricare tutto soltanto su Israele. E’ chiaro però che Israele, essendo lo Stato più forte, quello che ha il controllo del territorio ed anche le maggiori responsabilità, si deve impegnare maggiormente. Ma, allo stesso modo, anche i palestinesi si devono impegnare e non solo per riconoscere Israele, ma anche per lavorare fattivamente per la costruzione del loro Stato.

 
D. – Qual è la situazione umanitaria a Gaza?

 
R. – La situazione è sempre molto difficile. Gli accessi, soprattutto delle materie prime, sono a singhiozzo e variano a seconda dei periodi. Questo ovviamente influisce su tutta la vita della popolazione. Ma è anche vero che le lotte interne e le fazioni certamente non aiutano ad avere un interlocutore unico e capace, così come non aiutano ad avere il controllo del terreno.

 
D. – I vostri timori in caso di un fallimento del vertice di Annapolis?

 
R. – Io spero che non ci siano degenerazioni, che non sia un “tanto peggio o un tanto meglio” e che, comunque e in ogni caso, si continui - soprattutto attraverso la presenza e lo sforzo della Comunità internazionale - a cercare non soltanto di arginare la situazione, ma anche di riprendere le negoziazioni.

 
D. – Siamo ad un mese dal Natale ... un’occasione anche per tornare a pregare per la pace in Medio Oriente?

 
R. – Questa è la prima cosa e forse anche la principale che noi religiosi, insieme a tutti coloro che hanno fede, possiamo e dobbiamo fare. Dobbiamo pregare affinché il Signore tocchi il cuore di tutti - cristiani, ebrei e musulmani – così che, in un modo o nell’altro, si riesca a fare qualcosa, magari anche piccolo, ma certamente di positivo per questo Paese.







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