Vertice di Annapolis: invitata anche la Santa Sede
Tutto pronto negli Stati Uniti dove martedì ad Annapolis è in programma la conferenza
di pace sul Medio Oriente. Al vertice - ha affermato oggi il direttore della Sala
Stampa vaticana padre Federico Lombardi - è stata invitata anche la Santa Sede. La
composizione della delegazione vaticana sarà resa nota domani. Intanto, il premier
israeliano Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen sono giunti in America ed
entrambi hanno espresso l’auspicio per “negoziati seri”. Hamas ha definito la partecipazione
al vertice dell’Autorità Nazionale Palestinese “un tradimento” dell’eredità dell’Intifada
di Arafat. Per Abu Mazen l’opposizione ha diritto di esprimere il proprio dissenso
ma non bisogna trascurare l’importanza “storica” dell'evento. D'altra parte, secondo
fonti diplomatiche, anche la Siria ha accettato di partecipare al vertice. Dunque
speranze e scetticismo aleggiano attorno a questo appuntamento. Ma quali sono le aspettative
della popolazione locale? Fabio Colagrande lo ha chiesto a padre Pierbattista
Pizzaballa, custode di Terra Santa:
R. –
Se devo essere sincero, qui in Terra Santa, da parte della gente non c’è tantissima
attesa. C’è grande discussione in ambito politico e sui mass media, ma la gente ne
parla poco, forse proprio perché la gente ha poca fiducia, purtroppo. Le aspettative
sono quelle di sempre e cioè non certo quelle che si trovi una soluzione finale, perché
questo appare impossibile adesso, ma che si mettano almeno le basi per un dialogo
serio tra le parti.
D. – Come evitare che sia solo
un’altra occasione per proclami del futuro e come far sì, invece, che possa diventare
un’occasione per un vero accordo di pace?
R. – E’
importante che ci sia un impegno da ambo le parti, soprattutto riguardo alla formazione
e al riconoscimento l’uno dell’altro, riguardo alla formazione nelle scuole – cosa,
questa molto importante – ma che si possa soprattutto avere il coraggio di affrontare
i nodi veri e, quindi, non soltanto rimanendo sui principi.
D.
– Quali sono gli impegni che le due parti dovrebbero prendere proprio per andarsi
incontro?
R. – Dal punto di vista pratico, della
vita anche politica, ci sono problemi seri come anzitutto quello relativo alla mobilità
all’interno dell’autonomia palestinese, al riconoscimento dell’autonomia e, quindi,
dello Stato palestinese, dando però tutte le garanzie affinché questo avvenga. Dall’altro
lato è, però, necessaria una garanzia da parte palestinese per un impegno serio e
per evitare qualsiasi forma di violenza. Questo è il primo passo. Ci sono poi, certo,
tutti gli altri aspetti politici più complicati come la questione di Gerusalemme,
i profughi, etc. Quello che è importante in questa occasione – non possiamo certo
aspettarci che possano essere risolti tutti i problemi – è che almeno il primo aspetto
sia affrontato in maniera seria.
D. – Gli osservatori
dicono che entrambe le parti sono ostaggi degli estremisti?
R.
– E’ difficile dirlo, perché è vero che ci sono estremisti da ambo le parti, ma non
credo che siano poi così forti. La maggioranza della gente, la maggioranza della popolazione
è ormai stanca di questo conflitto, di questa situazione, che è divenuta logorante.
Io sono convinto che se ci fosse un accordo serio ed ancorato al terreno, la gran
parte della popolazione seguirebbe questo accordo.
D.
– Lo scrittore israeliano Amos Oz ha detto che questa volta gran parte della responsabilità
ricade sul governo israeliano perché è Israele ad avere il controllo dei territori
e non il contrario…
R. – Questo è vero. Le responsabilità
sono, però, di tutti - questo è chiaro - e non soltanto di Israele: c’è sempre la
tendenza a scaricare tutto soltanto su Israele. E’ chiaro però che Israele, essendo
lo Stato più forte, quello che ha il controllo del territorio ed anche le maggiori
responsabilità, si deve impegnare maggiormente. Ma, allo stesso modo, anche i palestinesi
si devono impegnare e non solo per riconoscere Israele, ma anche per lavorare fattivamente
per la costruzione del loro Stato.
D. – Qual è la
situazione umanitaria a Gaza?
R. – La situazione
è sempre molto difficile. Gli accessi, soprattutto delle materie prime, sono a singhiozzo
e variano a seconda dei periodi. Questo ovviamente influisce su tutta la vita della
popolazione. Ma è anche vero che le lotte interne e le fazioni certamente non aiutano
ad avere un interlocutore unico e capace, così come non aiutano ad avere il controllo
del terreno.
D. – I vostri timori in caso di un
fallimento del vertice di Annapolis?
R. – Io spero
che non ci siano degenerazioni, che non sia un “tanto peggio o un tanto meglio” e
che, comunque e in ogni caso, si continui - soprattutto attraverso la presenza e lo
sforzo della Comunità internazionale - a cercare non soltanto di arginare la situazione,
ma anche di riprendere le negoziazioni.
D. – Siamo
ad un mese dal Natale ... un’occasione anche per tornare a pregare per la pace in
Medio Oriente?
R. – Questa è la prima cosa e forse
anche la principale che noi religiosi, insieme a tutti coloro che hanno fede, possiamo
e dobbiamo fare. Dobbiamo pregare affinché il Signore tocchi il cuore di tutti - cristiani,
ebrei e musulmani – così che, in un modo o nell’altro, si riesca a fare qualcosa,
magari anche piccolo, ma certamente di positivo per questo Paese.