In Russia divampa la protesta anti-Putin in vista delle elezioni di domenica prossima.
Arrestato il campione di scacchi Kasparov
Ad una settimana dalle elezioni in Russia, sale la tensione tra il fronte che sostiene
il presidente Putin e l’opposizione. Stamani numerosi manifestanti sono stati caricati
dalla polizia a San Pietroburgo prima dello svolgimento di una protesta non autorizzata.
Tra le persone fermate, almeno 150, anche Boris Nemtsov, probabile candidato alle
presidenziali del 2008, che è stato poi rilasciato. Ieri a Mosca era stato fermato
l’ex campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov, leader del movimento d’opposizione
“L’Altra Russia”, condannato a 5 giorni di prigione dopo un processo per direttissima.
L’arresto è avvenuto al termine di una marcia priva di autorizzazione a cui avevano
partecipato circa 2 mila persone. Kasparov era stato già arrestato in maggio a Samarra
durante il vertice Russia-Unione Europea: il fermo aveva provocato le ire di numerosi
leader, in particolare del cancelliere tedesco, Angela Merkel.
Georgia Il
presidente georgiano Mikhail Saakashvili ha dato le dimissioni per poter partecipare
alla campagna elettorale in vista delle consultazioni del prossimo 5 gennaio, indette
dopo forti manifestazioni di piazza che lo avevano spinto a decretare lo stato d’emergenza
poi revocato. In base alla Costituzione, ora i poteri del capo dello Stato passano
al presidente del Parlamento Nino Burjanadze.
Afghanistan Rientra
oggi in Italia la salma del maresciallo capo Daniele Paladini, morto ieri in un attentato
kamikaze nella provincia afghana di Paghman, poco distante da Kabul. Un attacco nel
quale hanno perso la vita nove civili, tra cui sei bambini, colpiti mentre uscivano
da scuola. Il bilancio poteva essere ancora più drammatico se i militari italiani
non avessero bloccato il kamikaze che si stava facendo esplodere tra la folla. Già
a Roma i tre soldati rimasti feriti ieri nell’agguato. Il premier Prodi ha nuovamente
ribadito che le truppe non lasceranno il Paese asiatico ma ha invitato a ripensare
“una strategia a lungo termine” per impostare la futura presenza in Afghanistan. Lo
stesso presidente del Consiglio si è detto convinto che l’attentato non era diretto
contro gli italiani ma contro gli stessi afghani. Di diverso parere un leader talebano,
che in un’intervista al “Corriere della Sera”, ha assicurato che proseguiranno gli
attacchi contro le truppe straniere, anche quelle italiane, perchè considerate “invasori”.
Ieri il governo di Kabul aveva condannato l'attentato come un “brutale crimine contro
l’umanità, contro l’Islam e contro l’Afghanistan”.
Iraq Dodici vittime
e oltre 40 feriti. E’ il bilancio di tre esplosioni avvenute a Bagdad. Una violenza
che non conosce tregua e che continua a scoraggiare la presenza di truppe straniere
nel Paese. Ieri l’annuncio del ritiro di 5 mila soldati americani entro dicembre:
il 2008 è la scadenza indicata dal neo-premier polacco Tusk, ma anche la nuova leadership
australiana anticipa il prossimo rientro a casa dal Paese del Golfo dei militari di
Canberra. L’alleanza che nel 2003 portò alle operazioni militari in Iraq sembra dunque
sfaldarsi. Sulle ragioni di tali orientamenti, Giada Aquilino ha intervistato
il prof. Maurizio Simoncelli, esperto di geopolitica dell’Istituto di Ricerca
Internazionale Archivio Disarmo:
R. –
Bisogna prendere atto che la stessa missione aveva in sé i germi del fallimento. Si
sapeva fin dall’inizio, purtroppo, che andare a mettere le mani in una situazione
come era quella di questo territorio mediorientale voleva dire far saltare un equilibrio
che si reggeva su una dittatura, perché in realtà erano presenti tre popoli profondamente
divisi: gli sciiti, i sunniti e i curdi, che vivevano in una situazione di temporaneo
equilibrio. L’intervento, così come è stato attuato ed in contrasto con le stesse
Nazioni Unite, che hanno dimostrato in realtà fin dall’inizio di ben capire i rischi
di un intervento del genere, non poteva avere altro esito se non quello di portare
una profonda instabilità permanente.
D. – I laburisti
australiani annunciano il rientro a casa dei 580 loro soldati schierati in Iraq. La
Polonia ha già confermato il ritiro delle truppe di Varsavia dal Paese del Golfo entro
il 2008. Cosa cambia di fatto nella strategia militare?
R. – Oggi si
prende atto – purtroppo – di un fallimento, perché se da un punto di vista militare,
nell’immediato, la battaglia è stata vinta contro le truppe di Saddam Hussein, non
c’è stata la possibilità di creare un sistema politico stabile. Oggi vediamo, quindi,
che progressivamente i resti di questa coalizione – anche perché questi non sono i
primi; già tanti altri se ne sono andati – stiamo anche assistendo anche ad uno sfaldamento
grave, anche perché gli stessi Stati Uniti non sanno come uscirne e lo stesso Bush
sta concludendo il suo mandato con un grande punto interrogativo, che è quello di
come andar via dal pantano iracheno.
D. – Le violenze sul terreno,
le tensioni con la Turchia, la coalizione internazionale che perde alleati: l’Iraq
rischia di essere abbandonato a se stesso, al di là degli interessi economici particolari?
R.
– Sì, questo è il grande pericolo che si vede all’orizzonte. D’altronde lasciare un
territorio del genere in balia di se stesso è altrettanto pericoloso di quanto rimanerci.
Elezioni
in Croazia Appuntamento elettorale oggi per la Croazia: al voto per le elezioni
politiche 4,4 milioni di cittadini. Bassa l’affluenza alle urne: alle 11.00 solo il
18 per cento degli aventi diritto si è recato a votare. Nei giorni scorsi, nel loro
appello alla nazione in vista della consultazione, i vescovi del Paese hanno raccomandato
di avere presente nella scelta dei candidati “il bene comune, l’impegno per la tutela
della vita e la solidarietà con i poveri” e inoltre la libera scelta dell’istruzione
religiosa e un sistema fiscale a beneficio della famiglia. Il servizio di Fausta
Speranza:
E’ una Croazia
sempre più vicina a Bruxelles quella che si reca alle urne oggi. I leader delle due
principali forze sono entrambi europeisti convinti: il premier in carica conservatore
Ivo Sanader e l'emergente Zoran Milanovic dei socialdemocratici. Le differenze si
segnano in tema di ricette economiche: i primi rivendicano la politica di stabilizzazione
macroeconomica di stampo liberale che insieme al turismo ha fatto il boom economico
degli ultimi anni; gli altri insistono nel denunciare le persistenti sacche di corruzione
e i problemi sociali ancora irrisolti. Se è vero che nel prossimo futuro ci sono
la NATO e l’Unione Europea, è anche vero che la differenza può stare nei ritmi e nei
costi: i conservatori difendono il passo accelerato imposto dal governo Sanader dal
2003; i socialdemocratici promettono un percorso più cadenzato, senza escludere tra
l'altro un referendum sulla NATO. In ogni caso si tratta delle quinte elezioni dal
1991, anno dell’indipendenza dall’allora Jugoslavia. Molte cose sono cambiate, anche
nella Comunità democratica croata (HDZ): la formazione che fu feudo nazionalista del
defunto 'padre della patria' Franjo Tudjman, che Sanader ha riformato in questi anni
verso l'approdo occidentale del Partito Popolare Europeo. La cattolicità resta un
elemento fondamentale dell’identità croata e vanno poi ricordate le minoranze etniche,
che eleggeranno otto deputati in seggi garantiti. Tre andranno ai 250 mila serbi di
Croazia, dimezzati dopo le guerre di dissoluzione della Jugoslavia, ma tuttora numerosi
e alle prese con problemi legati al rientro dei profughi e alla lenta ricostruzione
e restituzione dei beni. Un seggio sarà invece appannaggio dei circa 20 mila italiani
d'Istria e Fiume. Per quanto riguarda l’ingresso in Europa, superati i problemi legati
alla collaborazione con il Tribunale internazionale per i crimini di guerra commessi
nella ex Jugoslavia, se la Croazia manterrà il passo attuale, entrerà nell'Unione
Europea segnando un tempo record per il processo di adesione: aperto nel 2005, secondo
il commissario all'allargamento UE, Olli Rehn, si concluderà con l'ingresso già nel
2010.
Romania Giornata di consultazioni anche in Romania. Oltre
18 milioni di elettori sono chiamati a scegliere 35 deputati europei su 551 candidati.
Si tratta della prima volta per il Paese, entrato nell’Unione lo scorso primo gennaio.
Il mandato degli eletti durerà soltanto 18 mesi perché nel 2009 si terranno nuovamente
le elezioni generali in tutti i 27 Stati membri. Accanto alle europee a Bucarest si
vota pure per un referendum sull’introduzione del sistema uninominale.
Giordania Ad
Amman, in Giordania, ha giurato davanti al re Abdallah II il nuovo governo guidato
dal neo-premier Nader Dahabi. L’esecutivo è composto da 26 ministri, tra questi 4
donne, espressione delle elezioni che hanno sancito la vittoria dei candidati fedeli
alla monarchia e la netta sconfitta dell’opposizione guidata dal Fronte islamico d'azione,
partito vicino alla Fratellanza musulmana.
Pakistan Rientro in patria
per l’ex premier pachistano, Nawaz Sharif, dopo 8 anni di esilio in seguito al colpo
di Stato messo in atto dall’attuale presidente Pervez Musharraf. Sharif ha detto che
opererà per il ripristino della democrazia e la fine della dittatura. Sarebbero intanto
3 mila i sostenitori arrestati in una vasta operazione della polizia che teme sanguinosi
attentati come nel caso del ritorno in Pakistan dell’ex premier Benazir Bhutto. Sul
terreno, circa 30 insorti sono stati uccisi in un raid dell’esercito nella parte nord-occidentale
del Paese.
Spagna Il premier spagnolo, José Luis Rodriguez Zapatero,
è stato ufficialmente candidato dal partito socialista per un secondo mandato in vista
delle elezioni legislative del marzo 2008. Secondo i sondaggi, sembra probabile la
riconferma dell'attuale capo del governo per altri quattro anni.(Panoramica
internazionale a cura di Benedetta Capelli) Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI no. 329 E'
possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del
Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
sito www.radiovaticana.org/italiano.