Milioni di sfollati in Bangladesh per il ciclone Sidr: l'impegno della Caritas
In Bangladesh, a sei giorni dal passaggio del ciclone Sidr, i soccorsi stanno finalmente
raggiungendo la costa meridionale del Paese, dove milioni di sfollati stanno rischiando
di morire di fame. L'ultimo bilancio delle Nazioni Unite parla di 3.500 morti accertati
e di oltre 2.000 dispersi. Ma le vittime potrebbero essere oltre 10 mila. In prima
linea negli aiuti ai disastrati c’è la Caritas Internationalis, mobilitata attraverso
la rete locale che ha già raggiunto 23.500 famiglie con aiuti alimentari, vestiti
e medicine. Ascoltiamo in proposito Paolo Beccegato, responsabile della Caritas
italiana per l’area internazionale. L’intervista è di Federico Piana:
R.
– Caritas Bangladesh, con il supporto nostro e di tutta la rete Caritas, ha una diffusione
capillare sul territorio, per cui gli aiuti stanno per raggiungere anche le zone più
remote, sebbene sia molto complicato proprio perché è un Paese molto fluviale, ricco
di enormi fiumi che però lo solcano da nord verso sud; con i problemi legati al passaggio
del ciclone Sidr e quindi la distruzione di molte imbarcazioni, evidentemente comportano
grossi problemi di logistica e trasporto di materiali.
D.
– Le difficoltà che state trovando lì, proprio per portare i primi aiuti, quali sono?
Avete avuto modo di mettervi in contatto con Caritas Bangladesh?
R.
– C’è una difficoltà di carattere logistico, per far arrivare gli aiuti a tutta la
popolazione colpita. Bisogna ricordare che l’area colpita è piuttosto vasta: è tutto
il sud del Bangladesh che è disastrato. In parte, è colpito un po’ tutto il Paese.
Sul numero delle vittime c’è incertezza, anche perché c’è l’eterno problema legato
alle registrazioni dei bambini alla nascita, non sempre completa, per cui molti bambini
alla nascita non vengono registrati. Quando succedono poi questo tipo di disastri,
succede sempre che le famiglie, le comunità denunciano la morte di molte persone che
le autorità stentano a riconoscere se non vengono – evidentemente – ritrovati i cadaveri;
il secondo problema è quello di avvertire come questo disastro sia stato certamente
molto più forte degli ultimi 15 anni. Questo ha comportato anche un certo smarrimento
negli stessi soccorritori. C’è anche poi dal punto di vista pratico, certamente, un
bisogno anche di carattere psicologico, spirituale che non va sottovalutato. Quindi,
non solo lanciare viveri dall’alto, non solo evidentemente salvare vite umane, ma
pensare che abbiamo sicuramente numerosi orfani; molte persone hanno perso gli affetti
e quindi c’è sempre il rischio molto forte di perdita di senso, con relativi suicidi:
il tasso di suicidi aumenta sempre, in queste circostanze. E secondo noi, in questo
caso, il rischio è molto alto.
D. – Come si può fare
per intervenire?
R. – La nostra esperienza ci dice
che bisogna fare degli interventi non solo settoriali ma, appunto, un approccio –
come diremmo con la dottrina sociale della Chiesa – per tutti gli uomini; l’uomo non
ha solo bisogno di cibo, ma in questo caso ha bisogno anche di relazioni e di affetti.
Quindi, serve anche un sostengo psicologico, un accompagnamento di queste persone
di lungo periodo; serve un approccio molto attento alle singole situazioni che accompagnino
queste persone che sono tali nella loro dignità più alta.