La Chiesa ricorda la memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria e celebra
la Giornata delle Claustrali
I monasteri indicano al mondo di oggi che la ragione decisiva per cui vale la pena
vivere è Dio e il suo amore imperscrutabile: è quanto ha affermato domenica scorsa
all’Angelus Benedetto XVI nel ricordare la Giornata delle Claustrali che la Chiesa
celebra oggi, giorno in cui ricorre la memoria della Presentazione della Beata Vergine
Maria. La Giornata Pro orantibus vuole far conoscere il grande dono della vita contemplativa
e il contributo di preghiera reso quotidianamente alla Chiesa e al mondo dalle claustrali.
Secondo recenti statistiche, sono 51 mila le contemplative nei 5 continenti, divise
in 3.600 monasteri. Tiziana Campisi ha raccolto la testimonianza di suor
Roberta Della Chiesa, monaca clarissa del Monastero Santa Chiara di Gerusalemme:
R. –
Il nome claustrale oggi può far paura, ma noi siamo qui per intercedere per tutti
e per dire ad ogni uomo, e soprattutto a chi soffre, che Dio è amore, che Dio ci ha
creati per essere veramente fratelli e sorelle. Tutto il mondo sa che qui la situazione
è molto dolorosa. Qui vivono due popoli, quello di Israele e quello di Ismaele e la
nostra preghiera vuole raggiungere tutti i figli di Dio: i figli di Israele, che sono
il popolo dell’alleanza, ma anche i figli di Ismaele. Sono tutti e due figli di Abramo
e, quindi, il nostro più grande desiderio, come pensiamo sia anche quello di Dio,
è che i due popoli possano riconciliarsi e vivere insieme in pace, con amore e rispetto.
D. – Come monache in che modo avete vissuto i periodi
più difficili in Terra Santa?
R. – L’ultima guerra,
quella che c’è stata ultimamente, è stata una spina in più nel cuore. E’ stato però
molto bello il fatto che in quella occasione, anche con l’invito del Patriarca, abbiamo
ospitato sia nel monastero che in una piccola casetta le persone alle quali erano
state colpite le loro case dai missili. Abbiamo, quindi, aperto loro non solo il cuore,
ma anche le nostre povere stanze a delle persone che avevano avuto la casa distrutta.
Il nostro monastero rappresenta un segno anche molto bello, poiché qui si incontrano
– in modo molto discreto - sia persone ebree che palestinesi. Noi vogliamo dire allora
che è possibile convivere insieme. Dio ci ha creati, veniamo da Lui e Lui vuole una
via di pace e non di conflitto.
D. - La vita al
di fuori del monastero, come filtra all’interno?
R.
– Il cuore di una claustrale è un cuore molto attento. Noi seguiamo tutte le notizie,
le più calde ed anche le meno dure e questo per portarle concretamente nella preghiera.
Il cuore di una claustrale è veramente vicino a tutte le sofferenze e, quindi, in
primo luogo alla sofferenza che viviamo qui in questa terra e a Gerusalemme in modo
speciale, che ci filtra anche attraverso le persone care che bussano al monastero,
siano esse palestinesi che ebree e che ci vengono a portare magari soltanto un dolce
o del cioccolato o soltanto a chiederci una preghiera. Anche solo con lo sguardo ci
sono vicine.
D. – Nella vita quotidiana, com’è il
vostro rapporto con chi vive a Gerusalemme?
R. –
Per mia esperienza – io sono qui da più di 16 anni – basta suonare il campanello al
monastero e la porta viene aperta a chiunque. Ci vogliono molto bene, sia il mondo
ebreo, sia il mondo musulmano. E questo perché credo che loro abbiano una fiducia
enorme nella preghiera e percepisco questo fortemente. C’è, quindi, un rispetto profondo!