In corso in Giordania l'assemblea dei Paesi aderenti al Trattato per la messa al bando
delle mine antiuomo
Bandire definitivamente le mine antiuomo, che continuano a seminare vittime, tra cui
molti bambini. L’appello lanciato ieri all’Angelus dal Papa è un forte incoraggiamento
all'assemblea in corso ad Amman, in Giordania, degli Stati che hanno sottoscritto,
nel 1997, il Trattato di Ottawa per la messa al bando di questi ordigni. Negli ultimi
rapporti, si evidenzia un lieve miglioramento della situazione: per quanto riguarda
l’estensione dei territori bonificati e anche per il calo delle vittime accertate,
sceso del 16% dal 2005. Ma non in tutti i Paesi è così. Sono ancora una quarantina
gli Stati a non aver ancora aderito, 11 dei quali tra Medio Oriente e Nord Africa.
Francesca Sabatinelli ha raggiunto ad Amman, il direttore della Campagna italiana
contro le mine antiuomo, Giuseppe Schiavello:
R. -
Sono sicuramente più i progressi: ieri ha aderito Palau ed è stato il 150.mo Stato
che aderisce a questo Trattato. E’ un grande successo. Ancora 39 Stati sono fuori
ma il commercio delle mine sostanzialmente è fermo perché anche gli Stati che non
hanno aderito hanno comunque bloccato il commercio di queste mine antipersona che
feriscono e uccidono i civili. Quest’anno sono stati registrati soltanto due casi
di uso di mine antipersona: Myanmar e la Russia in Cecenia. Per cui si sono ridotte
anche situazioni in cui viene utilizzata questa tipologia di armi.
D.
- Su cosa ancora voi state lottando fortemente, a parte immagino l’adesione di chi
manca?
R. - Certamente siamo impegnati per l’adesione
di chi manca e poi che non vengano tagliati i fondi per il fatto che si avverte una
minore urgenza di questo fenomeno, perché ancora ci sono tantissimi Stati minati:
sono più di 70 ancora. Le mine fanno vittime in tutto il mondo e questa situazione
è aggravata da altri ordigni inesplosi come le submunizioni delle munizioni cluster.
Per esempio nel Libano, dove sono state utilizzate tantissime submunizioni cluster,
gli incidenti tra i civili sono aumentati di dieci volte. Il dato negativo di questa
situazione è il fatto che su 29 Paesi che dovevano sminare il loro territorio, 14
di questi non faranno in tempo a farlo nei 10 anni stabiliti.
D.
- Mancano le condizioni tecniche?
R. - Purtroppo
la bonifica costa molto. Si è sempre fatto l’esempio delle mine che costavano pochi
dollari e la bonifica a metro quadro costa dieci volte o cento volte tanto. Dipende
anche da quanto è complicato il territorio: in una situazione desertica magari è più
facile utilizzare alcuni sistemi; immaginiamo, invece, un’area boschiva come in Bosnia
o in Cambogia dove è molto più complicato bonificare a livelli di sicurezza richiesti
dalla bonifica umanitaria, costa moltissimo ma poi ci sono anche tutti gli altri aspetti:
la reintegrazione socioeconomica delle vittime che è un fattore importantissimo, l’assistenza
alle vittime, la parte fisioterapica, l’informazione per la popolazione che è a
rischio mine.
D. - Giuseppe Schiavello, all’Angelus
il Papa ha lanciato un forte appello affinché si proceda nella giusta direzione. La
Santa Sede da sempre si è mostrata sensibile anche con i vari appelli durante il
pontificato di Giovanni Paolo II: come vengono presi questi inviti?
R.
- Hanno sempre un grande impatto perché si capisce che l’intento è quello di invitare
alla pacificazione. E’ sicuramente qualcosa che ha aiutato in precedenza e continuerà
ad aiutare. Noi siamo sempre molto contenti quando ciò avviene. Ricordiamo che Papa
Giovanni Paolo II è stato qui nel 2000 a visitare il luogo del Battesimo di Gesù,
che era un sito minato: lui lo visitò facendo un chilometro a piedi. Quindi ogni volta
che accade ciò, per noi è un grande aiuto perché viene sempre accolto molto bene da
tutte le diplomazie. Benedetto XVI, adesso, con questo appello ha aperto di nuovo
una finestra su questo problema, che pur essendo sulla strada della risoluzione, ha
ancora un po’ di strada da fare.