Oggi pomeriggio, a Novara, la cerimonia di Beatificazione di Antonio Rosmini, figura
luminosa del cattolicesimo italiano
Come sottolineato dal Papa all'Angelus, la Chiesa italiana si appresta a celebrare
la Beatificazione di Antonio Rosmini. Tutto pronto, dunque, al Palazzetto dello Sport
di Novara, dove alle ore 15, il cardinale prefetto della Congregazione per le Cause
dei Santi, José Saraiva Martìns, a nome del Papa, proclamerà Beato Rosmini, tra i
più grandi pensatori italiani, vissuto tra il 1797 e il 1855. Giovanni Peduto
ha intervistato per l’occasione uno dei più profondi conoscitori del pensiero del
sacerdote e filosofo trentino, padre Umberto Muratore, attualmente superiore
provinciale dei Rosminiani in Italia:
R.
– Antonio Rosmini è stato, al tempo stesso, un nobile, un prete, un fondatore di ordini
religiosi, un Santo e il più grande pensatore dell’ottocento italiano e forse europeo.
Un Beato quindi che assomma in sé quanto di più nobile e di più alto possa desiderare
un’esistenza umana. E’ nato a Rovereto, nel Trentino, da ricca famiglia patrizia,
primogenito maschio di quattro figli e destinato a divenire erede universale di tutti
i beni di famiglia. Si convinse prestissimo che l’unica vera sapienza stava in Dio,
cioè nel dedicare la vita alla gloria di Dio ed al bene del prossimo in tutte le direzioni.
Coerentemente, scelse di passare da buon cristiano a prete, da prete a religioso,
da religioso a capofamiglia di un istituto religioso unico nello spirito, che porta
il nome di ‘Istituto della Carità’ per gli uomini, di ‘Suore della Provvidenza’ per
le donne. Oggi essi sono chiamati Rosminiani. In una visita a Roma, Pio VIII gli diede
una missione personale e singolare per i tempi, cioè la missione della carità intellettuale,
col compito di studiare e scrivere al fine di “condurre gli uomini alla religione
mediante la ragione”. Egli, pur non abbandonando gli altri rami di carità, prese questa
obbedienza come volontà di Dio per lui, e si mise a dialogare seriamente con tutta
la cultura del tempo, al fine di mostrare che la ragione, se si allontana dalla fede,
perde gradualmente vitalità fino a spegnersi ed a cadere nella follia che ne segna
il suo suicidio. L’aver portato efficacemente a termine questa nobile missione di
carità costituisce oggi forse la sua virtù eroica più luminosa. I suoi contemporanei
in parte l’hanno capito, in parte l’hanno avversato: i tempi non maturi e le passioni
degli uomini gli hanno creato resistenza e incomprensione. Ma egli andò avanti, producendo
più di cento opere profonde su tutti i campi del sapere, e affidando alla Provvidenza
di Dio, per amore del quale lavorava, i frutti dei suoi sudori.
D.
– Rosmini conobbe molti uomini del suo tempo…
R.
- Sì, conobbe Papi, re, imperatori, fondatori, ministri, studiosi altolocati e uomini
semplici di ogni condizione. Tra i suoi amici più noti Alessandro Manzoni e Giovanni
Bosco. Di lui ci rimangono circa 20.000 lettere. Il governo piemontese lo inviò presso
Pio IX in missione diplomatica. La sua tomba si trova a Stresa, dove morì, a 58 anni,
il 1° luglio 1855. Dopo la morte i suoi avversari ottennero una condanna di quaranta
proposizioni tratte dalle sue opere. Condanna, dalla quale è stato assolto nel 2001
con una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, nota che porta le firme
dell’allora prefetto Joseph Ratzinger (oggi Papa Benedetto XVI) e dell’allora segretario
Tarcisio Bertone (oggi segretario di Stato).
D. –
Perché la Chiesa lo eleva all'onore degli altari dopo così lungo tempo?
R.
– La lunghezza del tempo è comprensibile, se si pensa alla ricchezza del patrimonio
intellettuale che Rosmini ci lascia. Egli ha attraversato il vasto campo del sapere,
al fine di raccogliere dall’antico e dal nuovo un deposito enorme di carità per le
intelligenze. Bisognava vagliare con calma ogni sua pagina, assicurarsi che si trattasse
di sorgenti pulite, prima di porlo fra i maestri dello spirito e della santità. Oggi
i tempi sono maturi, perché Rosmini gode di una stima vasta e generale, non ha più
chi lo accusa, e per di più la sua testimonianza di vita e di pensiero è diventata
un tesoro per l’umanità intera.
D. – Qual è il messaggio
che la Chiesa intende dare agli uomini di oggi con la Beatificazione di Rosmini?
R.
– Direi che i segnali da raccogliere in questo evento sono essenzialmente due. Il
primo, che appartiene al passato, vuole insegnarci come la Chiesa premia la fedeltà
dei suoi figli, finisce col rendere giustizia a chi si è messo fiducioso nelle Sue
mani, amandola e soffrendo per il suo bene. Il secondo, forse il più stimolante oggi,
è che con la Beatificazione di Rosmini si annuncia un’alba nuova. Oggi gli uomini,
soprattutto in Occidente, soffrono non tanto di povertà materiali, ma di una povertà
intellettuale etica e religiosa che ha origine nello smarrimento dell’intelligenza
e della volontà. Sentono penuria di beni che illuminino l’intelletto e scaldino il
cuore. Rosmini è ricco di questi beni e la Chiesa gli dà visibilità per indicare ai
contemporanei una sorgente abbondante e pulita cui attingere.
D.
– Ci può segnalare qualcuno di questi beni?
R. –
Conoscendo la vita e leggendo gli scritti di Rosmini si impara, ad esempio, a programmare
la propria vita verso la santità, portando con sé tutto il proprio io: l’intelligenza,
gli affetti, la volontà. Si impara inoltre che esiste un solo cammino sapienzale,
quello della ragione che si arricchisce e completa attingendo alla fede. Un altro
campo in cui Rosmini è maestro e amico è il modo di vivere in società, persona portatrice
di una dignità infinita accanto ad altre persone, il cui unico fine è unirci tra di
noi e in Dio in una comunione che va al di là della breve vita terrena. Rosmini infine
ci può essere maestro nell’aprirci sui vasti orizzonti del soprannaturale, della grazia
che salva, dell’amore che attinge con fede alla Croce di Cristo, dalla quale scende
la nostra salvezza eterna. Tutti questi valori ce li porge non predicando, non imponendosi,
ma ragionando con noi, cioè dandoci la persuasione della verità di quanto viene dicendo.
D.
– Un’ultima curiosità. A giorni, il Santo Padre conferirà il cardinalato ad alcuni
esponenti della Chiesa. Pio IX comandò anche a Rosmini di prepararsi al cardinalato.
Come prese egli questo comando?
R. – Lo prese come
un fardello pesante da non desiderare, ma al quale non ci si può sottrarre se è il
Papa a volerlo. Proprio come fece Gesù con la Croce. Per Rosmini le cose si misero
in modo tale che, a pochi giorni dal conferimento, la nomina non ebbe luogo. Conserviamo
ancora la veste che il Papa gli aveva comandato di preparare. La Provvidenza aveva
per lui altri piani. Probabilmente, pensando agli scritti che pubblicò in seguito,
possiamo immaginare che è stato meglio così. Era cioè meglio per la Chiesa che Rosmini
approfondisse il suo pensiero, accumulasse il suo deposito, affinché noi oggi trovassimo
un tesoro più abbondante cui attingere per illuminare di senso l’intelligenza e scaldare
di fuoco il cuore.