Mons. Ravasi e il prof. Cacciari a confronto sul senso della sofferenza umana,
al convegno dell’Associazione Medici Cattolici Italiani
“A Te grida il dolore innocente”: questo il titolo del convegno promosso dall’Associazione
Medici Cattolici Italiani, tenutosi ieri a Milano. Un incontro che ha visto mons.
Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e il filosofo
Massimo Cacciari confrontarsi sul significato dell’umana sofferenza. A seguire il
convegno per noi c’era Fabio Brenna:
L'uomo
teme il dolore, ma più del male fisico dovrebbe curarsi del male morale, che è causa
del dolore. Una riflessione corale, a più voci, del filosofo, del medico, del credente
e del non credente accomunati da due atteggiamenti davanti alla sofferenza e al dolore,
come ha suggerito mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio
Consiglio della Cultura.
“Il primo è sicuramente l’atteggiamento
dello sconcerto, perché il dolore resta pur sempre un orizzonte oscuro, in cui la
ragione e forse l’umanità profonda si disperde. Dall’altra parte, però, dobbiamo dire
che l’umanità da sempre ha cercato di individuare all’interno di quell’orizzonte dei
percorsi, delle luci, delle risposte e alla fine paradossalmente delle epifanie di
senso, di significato, ed è per questo che allora il dolore diventa il grembo anche
della speranza”.
La società moderna dominata e ossessionata dal
mito del benessere chiede di essere liberata dal dolore. Una scienza che si sente
onnipotente crede di poter annientare la morte ingaggiando una lotta che diventa accanimento
terapeutico. Ancora mons. Ravasi:
“L’accanimento terapeutico, come
insegna la tradizionale dottrina della Chiesa, è una scelta forse alla fine eccessiva
nei confronti del male e del dolore, è una sorta di lotta che l’uomo fa in maniera
quasi titanica convinto di poterlo alla fine comprimere e annientare. In realtà, noi
sappiamo che l’uomo deve scoprire il senso del limite anche con le sue capacità terapeutiche
e in quel momento deve cercare piuttosto di far sì che la persona sia accompagnata
attraverso una mano, una carezza, un gesto d’amore e soprattutto con la presenza di
una dimensione forse ulteriore, la dimensione appunto che apre l’orizzonte oltre la
morte stessa”.
Dalla preoccupazione per il dolore allo scandalo
del male, dell'uomo che fa il male anziché scegliere il bene. L'uomo malvagio è però
anche prigioniero, schiavo della paura, mentre l'uomo libero è anche l'uomo buono.
Così, la riflessione del filosofo Massimo Cacciari:
“Certo
è uno scandalo, perché non siamo tutti buoni? Quando forse ragionevolmente si può
comprendere che il cattivo è un prigioniero di sé, delle proprie passioni, del proprio
spirito di inimicizia, e soprattutto delle proprie paure. Fare il male è soprattutto
il prodotto di paura: si teme un nemico, reale, immaginario, e quindi il male si vuole
prevenirlo, annullarlo prima che ci faccia male. Il male è quasi sempre sintomo di
paura, di ignoranza. E allora perché non sarebbe semplice comprendersi, ascoltarsi,
non avere paura? E tuttavia è impossibile perché se siamo liberi la possibilità di
fare il male è immanente anche a chi fa il bene. Perché anche chi fa il bene, a meno
che non sia il Figlio di Dio, può poi a un certo momento commettere il male”.
Particolarmente
sentita la testimonianza di Alberto Cairo da una Kabul teatro
di un dolore talora frutto di negligenza per le persone, altre volte frutto del male
degli uomini. Lì il dott. Cairo dirige il Centro della Croce Rossa Internazionale,
dove si curano mutilati, ammalati di poliomelite e TBC ossea, invalidi di guerra.
Da un luogo di grandi sofferenze la constatazione che attraverso il dolore si scopre
la vita:
“In Afghanistan la maggior parte delle persone con le quali
sono venuto in contatto, anzi la quasi totalità, sono persone passate attraverso il
dolore, hanno vissuto vite incredibili: ti domandi come hanno fatto, perché tutto
questo… Poi non te lo chiedi più perchè, fai”.