CINA Il Partito comunista usa per la prima volta la parola religione
HONG KONG , 16nov07 - La modifica al paragrafo 19 della costituzione del partito comunista
cinese, decisa dal XVII congresso generale lo scorso ottobre che –per la prima volta
dal 1921- include il termine “religione”, è stata salutata da alcuni leaders religiosi
come un passo in avanti, per quanto modesto. Secondo un vescovo che chiede l’anonimato,
il commento che ne ha fatto il ministro per gli affari di culto Ye Xiaowen, suggeriscono
una moderata apertura di credito quando afferma essere “il Partito sinceramente convinto
di poter ampliare le libertà dei credenti”, in quanto la religione non viene più vista
come un fattore d’instabilità sociale. Di contro, per il presule “il Partito preme
perché i credenti diano il loro contributo allo sviluppo del Paese”, come asserito
da Hu Jintao nel plenum di ottobre quando ha detto “dobbiamo guardare con favore a
quanto di utile al nostro assetto economico e sociale proclamano i precetti religiosi.”
“Sì, però a patto che non vi sia alcuna intromissione da parte di soggetti esterni
al Paese” risponde da Hong Kong Kwun Ping-hun, attivista per le libertà religiose
“ed in tal senso” prosegue “è indicativo un editoriale del quotidiano filogovernativo
della nostra città, lo Wen Wei Po, che descrive il Vaticano come la terza ‘forza esterna’
assieme a Stati Uniti e Gran Bretagna facendo riferimento all’’indipendenza taiwanese’”
“Quello che le autorità credono e temono” gli fa eco dalla Cina continentale un ricercatore
che chiede l’anonimato “è che il Vaticano possa far blocco con altri Paesi contro
la Cina.” (Cns-MILANI)