In Ghana, vescovi europei ed africani discutono sulle nuove schiavitù: ai nostri microfoni,
l'arcivescovo di Accra
Vescovi europei ed africani partecipano fino al prossimo 18 novembre a Cape Coast,
in Ghana, al seminario sul tema “La schiavitù e le nuove schiavitù”. L’incontro, promosso
dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e dal Simposio delle Conferenze
episcopali in Africa e Madagascar (SECAM), si concluderà domenica con una commemorazione
del 200.mo anniversario della fine della schiavitù in Africa. Il servizio di Amedeo
Lomonaco:
Aprendo
il seminario, il cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria e vicepresidente
del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE) ha detto che “molte persone,
in Europa e in Africa, continuano ad essere schiave della povertà, dell’ingiustizia”
soprattutto per la non equa distribuzione delle risorse del pianeta. Altrettanto preoccupante
- ha aggiunto il porporato - "è l’aumento di coloro che si sentono schiavi della propria
libertà, del loro libero arbitrio”. Il dramma della schiavitù - ha spiegato - ha assunto
nuove forme a causa di una “scolarizzazione che tende a relegare Dio nella mera sfera
privata dell’esistenza umana, e per un crescente fondamentalismo religioso che vuole
imporsi con l’uso della forza”. Ricordando il cammino di cooperazione tra Africa ed
Europa volto a conservare l’integrità della fede universale, il cardinale ha sottolineato
che i due continenti “hanno un destino comune”. Una collaborazione apostolica tra
vescovi europei ed africani, sottolineata anche dall’arcivescovo di Dakar, il cardinale
Theodore Sarr. Il porporato ha quindi osservato come anche oggi, tra gli africani,
ci sia “la tentazione di relegare la storia della schiavitù nel passato senza più
parlarne o trarne conseguenze per il futuro”. Il vescovo ausiliare di Cape Coast,
Matthias Nketsiah, ha ricordato infine le responsabilità degli africani coinvolti
nella tratta della schiavitù: anche noi - ha affermato il presule - “dobbiamo imparare
da questa lezione e metterla a frutto contro le schiavitù moderne, che coinvolgono
soprattutto donne e bambini”.
Tra i temi del seminario particolare
rilievo viene dato, dunque, alla collaborazione tra Chiese d’Africa e d’Europa ed
alla relazione tra flussi migratori e nuove forme di schiavitù. Si tratta, molto spesso,
di forme di sfruttamento legate a posizioni di debolezza economica, sociale e culturale
da parte di cittadini di Paesi africani. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo
Lomonaco, l’arcivescovo di Accra, mons. Charles Palmer - Buckle:
R. -
L’Africa, come continente, e l’africano come persona, sono molto vulnerabili. Allora,
di fronte a questa vulnerabilità ci sono veramente delle forme di schiavitù che vediamo
sia nel continente africano sia in Europa.
D. - La
storia dell’Africa è profondamente segnata dal flagello della schiavitù. Come evitare
che questa piaga, con nuove forme dinamiche, possa colpire anche le nuove generazioni?
R.
- La prima cosa che facciamo è di dare a questi giovani una pubblica istruzione molto
valida che li abiliti veramente a prendere i loro destini nelle loro mani, cioè a
poter vivere nei propri Paesi, a lavorare nei propri Stati. Ed anche se dovessero
espatriare - perché l’uomo ha diritto di vivere dove vuole, dove pensa di trovare
la sicurezza - sono muniti sia di conoscenze sia di abilità adeguate. Questi giovani
saranno così nella posizione di evitare nuove forme di schiavitù.
D.
- In Ghana, in particolare, quali nuove forme di schiavitù sono presenti?
R.
- Io sono ad Accra, capitale del Ghana e qui, per esempio, abbiamo più di 200 mila
ragazzi e ragazze che vivono sulle strade. Venendo non ben forniti di conoscenze adeguate
o di requisiti necessari nel campo educativo, vengono sfruttati anche dai propri
concittadini, alcuni perfino dai loro parenti. Lavorano sulle strade, vendono per
conto di altre persone ma non trovano delle remunerazioni giuste e non riescono a
trovare sistemazioni adeguate per le loro vite. Alcune delle ragazze, poi, sono costrette
a prostituirsi, anche nei ristoranti e nei centri turistici. Abbiamo quindi dato vita
ad un'organizzazione che si occupa di questi giovani: si chiama “Catholic Action for
street Children”. Ci sono inoltre delle suore e dei religiosi ed anche delle ONG che
combattono seriamente per tutelare i diritti umani nel nostro Paese.