In migliaia a Roma ai funerali di Gabriele Sandri. La riflessione del cardinale Saraiva
Martins
Una folla enorme ha preso parte oggi nella Chiesa di San Pio X, parrocchia del quartiere
romano della Balduina, ai funerali di Gabriele Sandri, il tifoso ucciso domenica scorsa
da un poliziotto sull’Autosole. Episodio che ha scatenato una vera e propria guerriglia
urbana tra polizia e ultras in varie zone della capitale, e che oggi ha portato il
ministro dell’interno Amato ad avvertire: siamo pronti a reagire in caso di violenze.
Oltre mille le persone presenti in chiesa e altrettante quelle che sono rimaste fuori.
A partecipare anche esponenti politici, tra cui il sindaco di Roma Veltroni che ha
decretato due ore di lutto cittadino. Servizio di Francesca Sabatinelli:
Una chiesa
stracolma, e tanti applausi per Gabriele Sandri. In Chiesa ultras, venuti da tutta
l’Italia, soprattutto romanisti, uniti da questa tragica vicenda che ha colpito le
tifoserie di tutto il Paese, che già ieri nella camera ardente avevano espresso il
loro cordoglio. Tra i banchi anche l’intera squadra della Lazio e il capitano della
Roma Totti. Forti le parole di don Paolo Tammi, il parroco che ha celebrato i funerali:
"La violenza non genera giustizia. Ma cosa ha fatto Gabriele per morire? Non si poteva
evitare tutto questo?". Don Tammi ha inviato messaggi alle istituzioni e ai tifosi,
ha sollecitato le prime a far presto luce sull’accaduto, ad arrivare a giustizia e
verità; se si parla di perdono, ha spiegato, bisogna anche parlare di giustizia e
per Gabriele ci deve essere una giustizia umana che non sia vendetta. Agli amici del
ragazzo a chiesto di evitare la vendetta, di fermare la violenza, che non genera giustizia:
"A
tutti voi, amici di Gabriele, a tutti voi che siete qui oggi, ragazzi, dico che Gabriele
era un ragazzo sano, buono, amava la vita, le coccole, l’amore. Non era un violento,
nei suoi occhi non c’era né vendetta né fallo di reazione".
Più
volte don Tammi è stato interrotto dagli applausi, anche quando ha spiegato che l’odio
stringe il cuore in una morsa, e quando ha ricordato che il calcio con questa tragedia
c’entra poco. La bara di Gabriele è uscita dalla Chiesa portata a spalla dagli amici,
attraversando ali di folla che coralmente ha scandito la parola giustizia. Nel pomeriggio,
il quartiere romano della Balduina, sarà attraversato da un corteo, organizzato dagli
amici di Gabriele.
Ma come evitare che lo sport sia nuovamente segnato
da violenze e tragici fatti, come quelli avvenuti domenica scorsa dopo la notizia
della morte di Gabriele? Luca Collodi lo ha chiesto al cardinale portoghese
Josè Saraiva Martins, grande appassionato di calcio:
R. –
A mio avviso l’ordine pubblico di per se non può bastare. Sarà sempre inefficace se
manca una vera formazione umana dei cittadini. Per me è semplicemente assurdo che
nel 2007 accadano ancora questa cose, che giocare a calcio sia diventato un pericolo
per i cittadini, quando invece lo sport dovrebbe essere una festa, un divertimento.
D. – La violenza può essere combattuta nelle scuole,
anche con l’insegnamento dell’educazione civica ...
R.
– Direi che soprattutto ci vuole una educazione veramente civica, da cittadini che
vivono nel 21.mo secolo. Noi crediamo di aver raggiunto l’apice del progresso nei
vari settori della vita umana. Questa violenza non è progresso è regresso, perché
una realtà umana si può chiamare progresso solo nella misura in cui aiuta la convivenza
umana ad essere sempre più umana. Quindi penso che le autorità devono prendere molto
sul serio questo problema che non è un problema superficiale, non è un problema accidentale
ma fondamentale che riguarda non solo i giovani ma tutta la società umana.
D.
– I giovani che compiono atti di violenza spesso dicono di ricercare la giustizia
attraverso la violenza ...
R. – Mai la violenza sarà
un mezzo per cercare la giustizia. Certamente la violenza porta a nuove violenze e
non porta mai alla giustizia, intesa questa bellissima parola ‘giustizia’ in quel
senso profondamente umano che è del nostro linguaggio comune.
D.
– Perché questo malumore sociale dei giovani emerge proprio a partire dallo sport,
che invece dovrebbe essere un momento valoriale, di comunità?
R.
– Proprio perché vengono a mancare quei valori centrali, fondamentali di ogni convivenza
umana: qui naturalmente hanno un ruolo molto importante le famiglie. L’educazione
dei giovani si fa certamente nelle scuole, ma sono i genitori che devono orientare
e formare bene i loro figli che sono i giovani che poi vanno allo stadio. I genitori
sono i primi formatori dei propri figli. Quelli che commettono questi atti di violenza
non è che sono figli di nessuno, appartengono ad una famiglia. Allora la famiglia
deve essere responsabile di quello che fanno i loro figli: bisogna andare all’origine,
proprio alla causa ultima di questa mancanza di formazione.