La Chiesa in Kenya, una "voce molto ascoltata": in Vaticano, la visita "ad Limina"
dei presuli del Paese africano. La testimonianza del presidente dei vescovi, mons.
John Njue
Cinquecento anni fa il cristianesimo sfiorava per la prima volta il Kenya, al seguito
dei portoghesi in viaggio verso l’India alla ricerca delle spezie. Quel primo seme
fiorisce più tardi, a metà dell’800, grazie alla predicazione dei Padri dello Spirito
Santo. Attualmente, su oltre 30 milioni di kenyoti, un terzo si professa cristiano
e il 25% cattolico. La Chiesa in Kenya è oggi una realtà ben strutturata e autorevole,
con 4 arcidiocesi metropolitane e 20 diocesi che lavorano per il benessere spirituale
ma anche sociale di un Paese, nel quale la lotta alla povertà e la diffusione delle
sette religiose sono tra le sfide più impegnative. E’ questo lo scenario che i vescovi
dello Stato africano presenteranno da oggi al 24 novembre prossimo a Benedetto XVI,
durante le udienze della loro visita ad Limina. Al presidente della Conferenza episcopale
del Kenya, l’arcivescovo di Nairobi, John Njue, Lisa Zengarini ha chiesto
in quale contesto socio-politico si trovi ad operare oggi la comunità ecclesiale:
R. -
E’ un contesto democratico. La democrazia è in crescita in questi anni in Kenya, anche
se spesso non viene vissuta in modo corretto, soprattutto adesso che si avvicinano
le elezioni del 27 dicembre. La campagna elettorale crea inevitabilmente tensioni.
Una cosa molto positiva è che adesso c’è una libertà di espressione che prima non
c’era.
D. - La Chiesa interviene in questo ambito
ed è una voce ascoltata?
R. - Sì, è ascoltata, anche
perché ha dato un importante contributo al processo democratico nel Paese. Chiaramente
ora, in un contesto pluralistico, ci sono anche reazioni non positive alle nostre
posizioni. Ma in genere la Chiesa è ascoltata ed è anche vista come un corpo che dà
un orientamento.
D. - Cosa ci può dire invece delle
sfide più specificamente pastorali, come tra l’altro le vocazioni?
R.
- Prima di tutto dobbiamo dire che oggi la pastorale va abbastanza bene. Le vocazioni
sono molto numerose nei nostri seminari nazionali. Tuttavia, dobbiamo anche riconoscere
il fatto che c’è un aspetto per così dire materialistico che influenza particolarmente
i giovani e i cristiani in genere. Ed è per questo che, sicuramente, dobbiamo rivedere
i nostri programmi pastorali, per dare concretezza al documento conciliare sulla Chiesa
nel mondo contemporaneo, secondo il quale essa deve sempre sapere “scrutare i segni
dei tempi”.
D. - Quale spazio viene dato ai laici,
come viene incoraggiata la loro partecipazione alla vita della Chiesa?
R.
- Abbiamo compiuto un lungo percorso. Stiamo sperimentando una transizione da una
Chiesa guidata dai missionari a una Chiesa che adesso viene portata avanti dai locali.
E non è una semplice transizione, perché in passato la gente guardava alla Chiesa,
ai sacerdoti come quelli che danno, ma adesso stiamo insistendo perché sia la gente
a sostenere la Chiesa. Quindi, ci stiamo muovendo verso una situazione di autosufficienza.
Ed è in questo che penso che i laici si stiano svegliando. Vedo, ad esempio, che nelle
parrocchie si fanno avanti per condurre le varie attività. Per me è una cosa molto
bella: adesso riescono a capire che sono loro la Chiesa e quindi che, come laici,
devono essere coinvolti nelle sue varie attività.
D.
- Eccellenza, la Chiesa in Kenya è ben presente nei media, diciamo anche che è una
presenza abbastanza dinamica. Quali sono i progetti in cantiere?
R.
- Credo sia una realtà che si sta affermando. Abbiamo già un’emittente che si chiama
“Radio Waumini”, che appartiene alla Conferenza episcopale, e anche delle emittenti
in alcune diocesi che sono uno strumento molto utile nell'opera di evangelizzazione.
Stiamo cercando di vedere come questi progetti possano arrivare anche alle diocesi
più lontane. Su questo fronte, stiamo appena agli inizi.
D.
- Una domanda personale: come ha accolto la sua nomina a cardinale?
R.
- E’ stata proprio una sorpresa che non mi aspettavo, perché è avvenuta poco dopo
il mio trasferimento da Nyeri a Nairobi. Era una sorpresa, ma come sempre l’ho accolta
anche con spirito di obbedienza e servizio, perché facciamo quello che il Signore
ci chiede di fare e noi lo sappiamo attraverso la Chiesa e sicuramente attraverso
l’autorità della Chiesa. Sono riconoscente al Santo Padre, perché penso che sia una
cosa buona non soltanto per me come individuo, ma per il Kenya, l’Africa e la Chiesa
Universale.