Iraq: la preghiera dei cristiani per scongiurare la drammatica eventualità della guerra
nel Kurdistan iracheno
Insicurezza, violenze e l’ipotesi di un nuovo conflitto nel Kurdistan iracheno costituiscono
attualmente i principali fattori di destabilizzazione per i cristiani in Iraq. ONG
locali denunciano che “negli ultimi due mesi sono almeno 27 i cristiani uccisi a Mossul
e a Kirkuk”. Tra le vittime ci sono anche donne e bambini. Sono poi più di 120 le
famiglie di cristiani che hanno ricevuto lettere di minaccia con l’intimidazione a
lasciare le loro case. Si stima che i cristiani rimasti nel Paese arabo siano circa
350 mila degli oltre 700 mila che vivevano in Iraq prima dell’intervento militare
statunitense, nel marzo del 2003. Quelli che hanno abbandonato le loro abitazioni,
si sono rifugiati in Giordania, Siria, Libano, nei pressi di Mossul e nel Kurdistan
iracheno. Ultimamente, in questa area, la crisi si è aggravata: la regione curda,
considerata in passato un rifugio sicuro, è teatro infatti di tensioni alimentate
da attacchi dei ribelli curdi in territorio turco e dall’eventualità, prevista dal
parlamento di Ankara, di operazioni militari turche su larga scala contro postazioni
di guerriglieri. In questi giorni, i cristiani del Kurdistan, che complessivamente
sono più di 250 mila, si stanno mobilitando per dire “no” ad una nuova guerra e per
invocare un intervento della comunità internazionale e scongiurare, così, operazioni
militari. Ma i segnali sono preoccupanti: la Turchia, che continua ad ammassare soldati
al confine con il nord Iraq, ha già compiuto raid sporadici e mirati contro ribelli
curdi. Secondo mons. Petros Hanna Al Harbouli, vescovo caldeo emerito della diocesi
di Zakho, in Kurdistan, una possibile incursione avrebbe come vittime principali i
cristiani iracheni. A fare le spese di un ulteriore scontro bellico – ha aggiunto
mons. Philip Najim, visitatore apostolico per i fedeli caldei in Europa - sarebbero
“ancora una volta i più poveri e i più deboli”. (A cura di Amedeo Lomonaco)