Il Papa nomina mons. Bregantini nuovo arcivescovo di Campobasso: intervista con il
presule
Il Papa ha nominato oggi nuovo arcivescovo di Campobasso-Boiano mons. Giancarlo
Maria Bregantini, finora vescovo di Locri-Gerace. Succede a mons. Armando Dini,
che lascia l’incarico per raggiunti limiti di età. Ma ascoltiamo come ha accolto questa
nomina mons. Bregantini che lascia la guida della diocesi di Locri dopo 13 anni. L’intervista
è di Sergio Centofanti:
R. –
Nel nome del Signore, come ogni obbedienza: per obbedienza sono venuto e per obbedienza
parto. Quella stessa frase, quindi, che mi disse mons. Mariano Magrassi di venerata
memoria: “Obbedisci al Papa. Non si dice no. Se obbedirai avrai sì la strada in salita,
faticosa, ma sempre con la mano di Dio vicina; se non obbedisci scegli certo la strada
più comoda, ma sarai solo”. E questo è quello che ho sempre insegnato ai ragazzi alla
Cresima e ai preti, soprattutto i più giovani. Ed oggi che il Papa lo chiede a me
rispondo con questa disponibilità e, anche se con tanta sofferenza nel cuore, saluto
la mia diocesi e mi avvio all’altra.
D. – Lei è
sempre stato un punto di riferimento anche per la lotta alla criminalità. C’è chi
ha espresso dispiacere per il fatto che lascia Locri dopo tanti anni di questo impegno…
R.
– Certamente ed è un reciproco dispiacere. Voglio però dire, cercando di rasserenare
gli animi, che molto di quello che ho insegnato loro, è stato maturato insieme, con
i giovani e con i collaboratori, cresciuti ormai fisicamente e spiritualmente. Loro
restano qui, ma hanno imparato un metodo, lo vivranno comunque e sempre intensamente.
Io sono certo che il Signore li accompagnerà e li renderà forti, anche se in questo
momento sono in lacrime.
D. – Come è cambiata la
Locride dopo tanti anni in cui lei è stato alla guida di questa diocesi?
R.
– Se mi è dato di esprimere un giudizio, anche se può apparire particolare, posso
dire che la vedo cambiata nella consapevolezza di fronte al male, non tanto ancora
nella forza effettiva, perché spesso la fragilità è ancora evidente nella risposta.
Ma la consapevolezza, però, di dire questo è il bene e questo è il male, questo è
no e questo è sì, è ormai entrata.
D. – Che cosa
manca a questa lotta contro la mafia, contro la criminalità organizzata?
R.
– Mancano tre cose. Anzitutto che tutte le istituzioni facciano la loro parte, in
maniera piena e leale, qualitativa e quantitativa. Manca poi, in secondo luogo, il
collegamento tra tutte le realtà positive e, quindi, una coordinazione attuata in
miglior modo. E, infine, la Calabria è trattata ancora come terra dimenticata, basta
vedere la questione dei treni, dei trasporti. Soltanto con fatica si riuscirà ad innestare
un processo di consapevolezza reale e visibile sul piano sociale, politico ed economico.
L’appello ad investimenti maggiori e a scelte più chiare è necessario, a mio giudizio,
è doveroso raccoglierlo.
D. - Cosa ha imparato in
questi anni?
R. – Tantissimo. Io sono venuto giovanissimo
come vescovo, avevo 45 anni. Sono andato in tutti i Paesi, nelle frazioni più sperdute
in visita pastorale, sono andato in frazioni che neanche la gente del luogo conosce.
Ho dormito nelle canoniche, nei sottoscala. Questa è stata la mia forza, la grande
condivisione. Ho imparato molto a piangere insieme con la gente, ho imparato molto
la fatica del perdono, ma ho imparato anche il dramma del sangue versato. Quante cose
ho imparato da chi ha fatto purtroppo il male, quanto ho imparato nelle carceri, ho
imparato a metterci insieme nella collaborazione nord-sud con le cooperative Trentino-Locride.
Ma ho imparato dai preti la tenacia a resistere come parroci per anni e anni in Aspromonte,
in zone difficili con mille insidie e mille fatiche; ho imparato dalle suore la tenerezza
ed ho imparato dalle mamme il tema del lievito, del dono: il lievito in Calabria si
dà da famiglia a famiglia, è l’immagine di un dono che non si può tenere, perché se
lo si tiene deperisce e marcisce, mentre se lo doni, ce l’hai sempre nuovo. Questi
sono soltanto alcuni flash della mia vita e per i quali i benedico il Signore.
D.
– A questo punto, quali sono le sue speranze?
R.
– So di essere accolto a Campobasso con grande gioia, questo me lo hanno assicurato
i vescovi e gli amici, anche se io non conosco questa terra ed è, quindi, per me molto
arduo affrontarla. Ma so anche che il cuore è già aperto e che le speranze sono grandi.
Parto con grande commozione da qui, ma anche con molta forza.