A Roma la sesta edizione del Festival dedicato al Cinema ebraico e israeliano
Si inaugura oggi a Roma, presso la Casa del Cinema, la sesta edizione del Festival
dedicato a “Ebraismo e Israele nel Cinema”, in programma fino al sette novembre prossimo,
che permette di avvicinare, attraverso molte e interessanti proposte cinematografiche,
alcuni degli aspetti meno conosciuti della cultura e della religione ebraica e della
attuale società israeliana, posta dinanzi alle sfide della pace, della giustizia e
del dialogo. Servizio di Luca Pellegrini:
In
una società come quella israeliana afflitta da un perenne conflitto, dalla paura del
terrorismo, da difficoltà e contraddizioni sociali, da una memoria tragica e sempre
incombente, dalla necessità di ritrovare pace, equilibrio e prospettive, il cinema
diventa strumento capace di assorbire questi temi e reintepretarli od esplorarli con
la sua ineguagliabile libertà creativa. Pertanto è lodevole poter conoscere le ultime
opere di una cinematografia altrimenti poco frequentata. Così il Roma Kolno’a Festival
in cinque giorni cerca, attraverso film inediti ed un cospicuo numero di interessanti
documentari, di metterci a contatto con l’Israele di oggi, per non dimenticare i suoi
problemi e le sue ansie, che diventano anche le nostre e di tutta la società occidentale.
Ariela Piattelli, giornalista e co-direttrice artistica insieme
al critico israeliano Dan Muggia, sottolinea come il festival voglia tenere separati
i due ambiti di indagine, quello ebraico e quello israeliano:
R.
– Sono degli ambiti molto diversi tra loro, il cinema ebraico ed il cinema israeliano,
che a volte si incontrano, anche per quello che viene impropriamente chiamato il cinema
ebraico, e questo è uno di quegli stereotipi che vogliamo demolire in questo festival
perché non esiste un cinema ebraico, esiste un cinema di argomento ebraico, esistono
dei registi ebrei che fanno i film. A Dan Muggia
abbiamo chiesto quali, secondo lui, sono le proposte più originali del Festival e
che non andrebbero perse da un pubblico attento.
R.
– Penso che sia interessantissimo per il pubblico italiano venire a vedere i tre
cortometraggi realizzati in una scuola di cinema religiosa, ortodossa, e che affrontano
i loro problemi interni, la loro vita, tramite il cinema che è una cosa abbastanza
nuova. Inoltre, “My Father, My Lord” è un film che parla del conflitto eterno tra
il credere e la sorte di una famiglia di super ortodossi che devono affrontare un
momento di crisi dove la tragedia arriva e non sanno qual è il peccato. Questo è stato
girato da una prima opera di David Volaci, un religioso che si è allontanato un pò
dalla religione e ha la possibilità di guardarla da dentro. Parlando di stereotipi:
anche noi ne abbiamo in Israele. In questo momento i religiosi nel Paese sono visti
dal cinema come delle caricature. Questa volta, invece, riusciamo a portare un cinema
autentico che parla della religione ma dal di dentro.