Domani all'ONU 5 milioni di firme per fermare le esecuzioni
5 milioni: tante sono le firme raccolte in tutto il mondo che la Comunità di Sant’Egidio
e la Coalizione mondiale contro la pena di morte presenteranno domani all’Assemblea
generale dell’ONU, per chiedere una moratoria universale delle esecuzioni. L’iniziativa
avviene a pochi giorni dalla discussione al Palazzo di Vetro di una risoluzione ad
hoc, che verrà presentata da 60 Paesi, Unione Europea inclusa, e all’indomani dell’ennesimo
stop da parte della Corte Suprema federale, che due giorni fa ha fermato un’esecuzione
in Mississippi per iniezione letale. Francesca Sabatinelli ha raggiunto a New
York il portavoce della Comunità di Sant’Egidio, Mario Marazziti:
R. –
C’è una grande crisi nel sistema in questo momento. Dopo le due sentenze della Corte
Suprema, che hanno dichiarato incostituzionale la morte per legge dei disabili mentali
e di chi era minorenne al tempo del reato; c’è ora la sentenza che deve decidere –
in primavera o a gennaio – sulla iniezione letale e quindi se è da considerare troppo
crudele ed incostituzionale nella modalità in cui è somministrata. C’è imbarazzo perché
le corti periferiche continuano a somministrare sentenze ed anche esecuzioni, ma la
Corte Suprema dice “basta, fermiamoci un attimo e decidiamo insieme, altrimenti è
troppo disordinato”. Capisco che questo potrebbe sembrare un cavillo quando si parla
di vita e di cultura della vita, ma certo questo dovrebbe almeno fermare per un po’
le esecuzioni, almeno fin quando non si sarà pronunciata la Corte Suprema. C’è poi
un’altra cosa molto interessante che viene dalla California: un giudice di San Francisco
ha contestato che il governatore Schwarzenegger abbia rifatto la camera della
morte, con la pretesa di realizzare una camera della morte perfetta, ma in realtà
come scusa per poter riprendere le esecuzioni e questo giudice ha dichiarato che il
processo deve essere fatto in pubblico e non in privato e che, quindi quello che ha
fatto il governatore non è corretto.
D. – Marazziti,
questa moratoria – chiamiamola così – de facto, queste scelte e queste decisioni della
Corte Suprema in qualche modo rafforzano la vostra iniziativa del 2 novembre?
R.
– Certo, vanno in quella direzione. La moratoria universale, se approvata dall’Assemblea
generale delle Nazioni Unite, non vincola i Paesi, ma rappresenta certamente una grande
affermazione morale: dichiara cioè uno standard sotto il quale i Paesi non dovrebbero
andare e, quindi, diventa anche una scusa per quelle amministrazioni di quegli Stati
che hanno la pena di morte, ma sono contestati da troppi errori. C’è infatti un cambiamento
nel sentire dell’opinione pubblica, perché comincia a pensare che se ci sono alternative
valide, si possono allora usare strumenti diversi e più validi. In questo caso rafforza
la nostra posizione e rafforza quindi anche la possibilità di successo di una risoluzione
all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Quello che sta succedendo negli Stati
Uniti è che il sentimento sta lentamente cambiando e da dieci anni le stesse esecuzioni
sono diminuite, fino ad arrivare alla metà: da 100 siamo arrivati a 50 l’anno. Di
certo siamo questo segna un cambiamento sensibile.
D.
– Ma è l’opinione pubblica che sta cambiando? Voi ne avete il polso?
R.
– Io credo che stiano aumentando quelli che cominciano a pensare che ci sono troppi
errori, troppe storie non chiare e quindi sarebbe meglio avere qualcosa di alternativo.
Non è che la pena di morte è considerata un male da larghi strati dell’opinione pubblica
degli Stati Uniti, ma viene considerato un male il modo in cui viene applicata. Alla
fine, quindi, perché andare a metterci in questo tunnel? Questo è quello che sta succedendo
negli Stati Uniti: quando c’è l’idea di una alternativa valida - purtroppo si parla
della prigione senza fine, anche quando la persona si redime – in questi casi anche
l’opinione pubblica favorevole alla pena di morte, scende sotto al 50 per cento.