2007-10-31 15:23:59

Ex Birmania: nuove manifestazioni pacifiche dei monaci buddisti contro i militari


Vestiti col tradizionale abito rosso, i monaci della ex Birmania sono tornati oggi in piazza per protestare pacificamente contro la giunta militare al potere. Per la prima volta dopo la violenta repressione del mese scorso, circa duecento religiosi si sono infatti ritrovati per le strade di Pakkoku, nella parte centrale del Paese. Le nuove dimostrazioni giungono alla vigilia dell’arrivo nella ex Birmania dell’inviato Onu, Ibrahim Gambari, per una seconda missione nella zona dal 3 all’8 novembre prossimi, e quando la giunta militare ha deciso la scarcerazione di sette detenuti, tra cui alcuni membri dell’opposizione della Lega nazionale per la democrazia. Ma perché i monaci birmani sono tornati a manifestare? Al microfono di Giada Aquilino, risponde padre Piero Gheddo, missionario che più volte è stato nel Paese asiatico:RealAudioMP3


R. – I monaci birmani rappresentano davvero il sentimento della popolazione. Vanno incontro alla morte, alla tortura, all’arresto, a carceri spaventose pur di ottenere che cambi il sistema di governo, perché il popolo è schiacciato da più di 40 anni. La Birmania è diventata l’ultimo Paese del Sudest asiatico come prodotto interno lordo, come livello di vita, come diritti umani, mentre nel 1950 era il primo, il Paese più avanzato dell’area. Ma per risolvere tale situazione, il boicottaggio economico nei confronti di Rangoon - ventilato da più parti - non serve: la giunta è appoggiata dalla Cina, quindi riceve tutto quello di cui ha bisogno dalla Cina e dispone di tutto quello di cui Pechino necessita. Le autorità birmane vivono sull’esportazione di gas, petrolio, diamanti, tek e perfino oppio, di cui il Paese è diventato oggi uno dei maggiori produttori al mondo.

 
D. – Secondo l’Organizzazione umanitaria “Human Rights Watch”, l’esercito birmano starebbe arruolando anche bambini-soldato ...

 
R. – Questo succedeva già prima. Io ho viaggiato molto in Birmania, ne ho visti di giovani di 14, 15, 16 anni sequestrati e poi posti al servizio dei militari.

 
D. – E il resto della popolazione civile?

 
R. – Accetta quasi sempre passivamente questa situazione… che poi è una realtà di fame, carestia, mancanza di strade, mancanza di sicurezza, mancanza di sanità.

 
D. – In questa fine di settimana si svolge la seconda visita dell’inviato ONU a Rangoon. Che poteri ha?

 
R. – Forse l’unica cosa che potrebbe essere veramente efficace è la possibilità di premere sulla Cina. Certe regioni periferiche del Nord hanno aperto ai cinesi: hanno capito che i cinesi portano lo sviluppo economico e in quelle zone si vedono cittadine con insegne in cinese e birmano, si sente la lingua cinese e quella birmana, la moneta è cinese e birmana. Non dimentichiamo che la Cina ha molti interessi in Birmania: per esempio, lo sbocco verso l’Oceano Indiano.

 
D. – La Chiesa locale come è impegnata negli sforzi per una soluzione della crisi in Birmania?

 
R. – Il buddismo è la religione nazionale dello Stato birmano, conta il 100 per cento della popolazione. La Chiesa è una piccola realtà. Ma, tutti assieme, i cristiani sono circa 3 milioni, quindi non sono pochissimi. E proprio i cristiani hanno avuto un grande influsso in Birmania per l’educazione: un secolo fa, non esistevano le scuole. Le hanno costruite le Chiese e le missioni cristiane. Oggi le Chiese cristiane continuano il loro impegno per i diritti dell’uomo, soprattutto attraverso l’evangelizzazione. Quindi è un lavoro più nascosto, non è una manifestazione pubblica: portando il Vangelo, si forma anche la coscienza alla dignità dell’uomo e della donna, all’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio, davanti alla società.







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