Domani la Chiesa celebra la Solennità di Tutti i Santi: la riflessione del cardinale
Arinze
Domani, dunque, la Chiesa celebra la Solennità di Tutti i Santi: il Papa alle 12.00
si affaccerà dalla finestra del suo studio privato per la recita dell'Angelus con
i pellegrini giunti in Piazza San Pietro. Ma sul senso di questa festa e sul significato
della comunione dei Santi ascoltiamo la riflessione del cardinale Francis Arinze,
prefetto di Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, al microfono
di Giovanni Peduto:
R. –
La comunione dei Santi è l’unità di tutti coloro che credono in Cristo: quelli che
sono già arrivati nella casa del cielo; quelli che sono in Purgatorio; e quelli che
sono ancora sulla terra. E’ la Chiesa vista nelle tre stagioni: noi, pellegrinanti
sulla terra; quelli che sono arrivati in Purgatorio e che anche se al momento ancora
soffrono, sono sicuri di andare poi in cielo; e quelli che sono già arrivati a casa,
in cielo. La celebrazione del 1° novembre mette l’enfasi sui nostri fratelli e sorelle
che sono già arrivati in cielo, con Dio e che possono vedere Dio com’è, per sempre.
D. – Cosa intendere per intercessione dei Santi?
R.
– I Santi in cielo possono pregare per noi. Se, ad esempio, quando Padre Pio poteva
pregare per noi quando era in terra, tanto più lo può fare ora che è in cielo, cominciando
proprio da Maria Santissima, gli Angeli ed i Santi. Loro, quindi, pregano per noi,
intercedono per noi, come fedeli, come parrocchie, come diocesi, per tutta la Chiesa.
E’ in questo senso che diciamo che i Santi pregano per noi ed ognuno di noi ha il
suo Santo patrono e generalmente è bene prendere il nome di qualcuno in cielo, come
proprio protettore santo.
D. – Tutti siamo chiamati
a diventare santi, ma cosa si intende per questa chiamata universale alla santità?
R.
– La santità è la pienezza della carità. Chi ha più amore per Dio e per il prossimo,
è santo. Così è stato definito il Concilio Vaticano II. La chiamata alla santità
non è un qualcosa riservato soltanto a qualcuno, ma è rivolta a tutti la chiamata
universale alla santità. Così insegna il Concilio nel grande documento della Lumen
Gentium e così la Chiesa propone per la nostra ammirazione, imitazione i Santi in
diverse situazioni e vocazioni nella vita. Ci sono sacerdoti e noi sappiamo che sono
molti, come Tommaso d’Aquino, Giovanni Bosco, Giovanni Maria Vianney, religiosi come
San Benedetto, San Bernardo, Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux e la Beata Teresa di
Calcutta. Ma non solo, ci sono anche i laici: basta pensare a Tommaso Moro, Carlo
Lwanga, Santa Maria Goretti, martire a soli 11 anni, i Beati Luigi e Maria Beltrami
Quattrocchi, marito e moglie, Gianna Beretta Molla e tanti altri ancora. L’Apocalisse
dice 144 mila: un numero che non si può contare, che include tutti i popoli, tutte
le culture e tutte le nazioni che cantano il nuovo canto dell’Agnello di Dio, di Cristo
Redentore. E’ la chiamata per tutti noi.
D. – Anche
lei, eminenza, avrà qualche Santo che invoca più spesso?
R.
– Senza dubbio. I miei patroni carissimi sono San Francesco d’Assisi e San Francesco
Saverio, perché ho preso lo stesso nome di battesimo e di cresima. Certamente tutti
i Santi sono grandi, ma questi due sono sicuramente più cari a me, proprio perché
io porto il loro nome e loro mi danno l'esempio su come andare avanti. Ma sono anche
molto legato al Beato Cipriano Michele Tansi, quel sacerdote nigeriano che mi ha battezzato,
che mi ha confessato la prima volta e mi ha conferito la Prima Comunione: io ero il
suo chierichetto nel 1945 e Papa Giovanni Paolo II lo ha beatificato proprio nella
sua diocesi nel 1998. Non potevo certo esserne indifferente.