“Non intendo insinuare dubbi di alcun genere, il lavoro dello storico non è emettere
giudizi”. Così il prof. Luzzatto, autore del volume “Padre Pio. Miracoli e politica
nell’Italia del Novecento”
“Non intendo insinuare dubbi di alcun genere, il lavoro dello storico non è emettere
giudizi” così il prof. Sergio Luzzatto ordinario di Storia moderna all'Università
di Torino sulle critiche mosse al suo libro “Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia
del Novecento”. La stampa italiana, lo ricordiamo, anticipando nei giorni scorsi stralci
del testo ha sollevato il dibattito sulla natura delle stimmate del Santo. Il manoscritto
propone una serie inedita di documenti, affronta e tratteggia i volti di molti uomini
noti e sconosciuti, collocando storicamente le vicende che accompagnano padre Pio
da Pietrelcina, fatto Santo da Giovanni Paolo II nel 2002. Massimiliano Menichetti
ha intervistato lo stesso Sergio Luzzatto.
R. -
Diversamente da altri libri che sono stati scritti a questo riguardo, questo forse
è il primo che non muove né dalla prospettiva devozionale né dalla prospettiva - come
si può dire - di contro-storia, di contro-informazione su Padre Pio. Io credo di non
essere inesatto a dire semplicemente che questo è il primo libro di storia su Padre
Pio, anche perché è il primo che è stato scritto da uno storico di mestiere.
D.
- La premessa del libro che lei ha espresso nel prologo è quella di non voler chiarire
se le stimmate, i miracoli di Padre Pio siano stati veri o falsi. Ma la stessa introduzione
di questo tipo non va a generare un dubbio?
R. -
Lo storico non deve capire se Padre Pio aveva delle vere stimmate o abbia compiuto
veri miracoli. Lo storico deve capire in quali circostanze Padre Pio abbia potuto
ritenere di avere ricevuto le stimmate e in quali circostanze un così immenso movimento
di devozione abbia potuto riconoscere la cristomimesi, i miracoli e quant’altro.
D.
- I giornali hanno puntato l’attenzione sullo stralcio del testo che riporta le richieste
dell’allora Padre Pio di due sostanze acide a due farmacisti per curare i novizi.
Le perplessità dei due fedeli sul reale utilizzo degli acidi: un’operazione mediatica,
secondo lei?
R. - Ma, è inutile che ci nascondiamo
come funzionano queste cose. In altre parole: il libro ha 410 pagine, per presentarlo
sono state estrapolate quelle 4-5 pagine che io naturalmente sono ben lungi dal rinnegare,
anche perché sono documentate nell’archivio. Sono il primo storico che il Vaticano
abbia autorizzato a vedere le carte di Padre Pio, nel senso che fino a questo momento
immagino che quel faldone, molto corposo, che è depositato a partire dal 1919 nell’Archivio
del Sant’Uffizio, era stato certamente consultato ma da personaggi interni alle gerarchie
ecclesiastiche, tra l’altro anche in occasione del processo di canonizzazione. Io
sono il primo storico esterno, estraneo anche al Vaticano, che abbia avuto il privilegio
documentario, e per certi aspetti anche intellettuale, di consultare quelle carte.
Non ho fatto altro che raccontare onestamente - credo - dentro il mio libro che cosa
quelle carte contengono.
D. - Però lei in quel paragrafo
solleva il dubbio e si chiede perché Padre Pio non abbia soddisfatto la richiesta
di acidi attraverso il medico dei Cappuccini...
R.
- Sottraiamoci un attimo, come si può dire, da questa dimensione che è quella dell’anticipazione
giornalistica che io ho vissuto da spettatore e comunque da persona al corrente dei
fatti ma non responsabile delle scelte. Il mio libro contiene molti documenti. E,
lo ripeto, quella è una domanda che si sono fatti i consultori del Sant’Uffizio. Io
non voglio instillare dubbi di nessun genere. Io ho rispettato i documenti e ho cercato
- sicuramente - di interpretarli ma prima di tutto, diciamo, di collocarli nel loro
tempo storico.
D.- Lei parla della conversione del
pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo come di una "metafora", che unisce il
sangue colato dalle ferite di Padre Pio durante la celebrazione eucaristica come segno
di un rinnovarsi del sacrificio di Cristo. Ma è davvero possibile, secondo lei, leggere
la realtà storica senza usare la fede come focale?
R.
- Lo ha scritto anche Vittorio Messori in una maniera molto elegante, sul “Corriere
della sera”, a proposito del mio libro. Secondo lui, è un libro che ha dei meriti
di rigore storiografico ma a cui sfugge una specie di quintessenza, che è la quintessenza
della fede, e secondo Messori chi non condivide quella fede è destinato a capire delle
cose, a capire magari molto, ma a non capire tutto. Questo è un rischio al quale io
mi espongo volentieri. Questa confusione del sangue di Padre Pio con il vino della
comunione, di nuovo, non è una confusione che mi sono inventato io: è una confusione
che testimoni dell’epoca percepivano, vivevano. Se non ci fossero state le stimmate,
forse Padre Pio non sarebbe diventato quell’immenso fenomeno di pietà e di devozione
che è diventato.