In missione per l'Associazione Apurimac per sostenere l'opera degli agostiniani tra
i poveri del Perù: la testimonianza di un chirurgo romano partito volontario sulle
Ande
Collabora con l’Associazione Apurìmac che sostiene le missioni agostiniane in Perù
e in Africa e ha portato avanti progetti sanitari sulle cime delle Ande. Il dott.
Roberto Leonori, chirurgo plastico, oggi è direttore generale del poliambulatorio
Lucia Vannucci Maiani di Cuzco e per dedicarsi alla gente della regione dell’Apurìmac,
in Perù, ha deciso di lasciare la sua città, Roma, e di chiudere il suo studio privato.
Al microfono di Tiziana Campisi racconta la sua esperienza fra le missioni
agostiniane:
R. –
L’avventura in Perù è cominciata nel 2004, quando sono venuto a conoscenza dell’Associazione
Apurimac e del lavoro che stanno facendo i padri agostiniani in Perù. Dopo un primo
viaggio conoscitivo ho iniziato una collaborazione nei miei momenti liberi e quindi
nel periodo estivo e poi nel periodo natalizio: questo è successo nel 2005 e nel 2006.
Ma poi ho fatto questa scelta di dedicarmi al poliambulatorio che si trova a Cuzco.
D. – Umanamente e professionalmente che cosa le
ha dato l’esperienza in Perù?
R. – Umanamente mi
ha dato tanto, perché al di là di quello che si riesce a fare – perché anzitutto noi
andiamo lì per dare e per fare – la cosa più importante è invece che noi riceviamo.
E questo perché chiaramente, per quanto si possa agire quello che noi facciamo è sempre
una goccia in un mare di situazioni cristallizzate da anni e per cui purtroppo noi
riusciamo a fare in realtà veramente poco. Ma riceviamo tanto, perché queste rappresentano
esperienze umane indimenticabili perché c’è anche una sorta di appagamento personale
nel fare qualcosa di utile, soprattutto c’è un confronto culturale che è molto importante.
E’ infatti fondamentale andare in punta di piedi, perché noi andiamo per esportare
un qualcosa che è la nostra cultura, ma dobbiamo fare attenzione perché lì esiste
già una cultura che ha i suoi valori importantissimi e dalla quale si può ricevere
tanto. Quando rientro in Italia, trovo una certa difficoltà nel reinserimento, perché
qui c’è una vita frenetica, le persone quasi non si conoscono pur vivendo nello stesso
edificio: tutto questo non succede in Perù, dove c’è un forte calore umano, una sorta
di solidarietà e di semplicità nei rapporti interpersonali. Tutto questo è stata per
me una grandissima conquista da un punto di vista umano. Dal punto di vista professionale
è ovviamente diverso, perché lì subentra il fattore tecnico, il medico che fa il suo
lavoro, ma in una situazione di necessità, di emergenza, di aiuto al prossimo.
D.
– Come la vedono i peruviani?
R. – Ci sono due aspetti:
spesso in questi Paesi in cui c’è la povertà, ci vedono come fossimo il personaggio
ricco dal quale possono ottenere qualcosa; ma c’è poi l’aspetto di solidarietà umana,
di affetto e di accoglienza che io ho trovato un po’ dappertutto e specialmente nei
posti più sperduti. Questo è certamente molto gratificante. Mi ricordo di un paesino
che si trova a 5.200 metri, dove siamo andati a fare una campagna sanitaria e dove
probabilmente non erano mai arrivati medici a curare le persone. Dopo alcuni giorni
che eravamo lì, gli abitanti tutti i giorni ci volevano offrire il pranzo e le loro
cose: sono stati momenti molto commoventi nel vedere questa forte gratitudine e solidarietà
da parte delle persone.
D. – Se lei dovesse invitare
qualcuno alla missione, cosa direbbe?
R. – Bisogna
trovare delle motivazioni dentro di noi stessi, perché queste esperienze si decide
di farle non per avere un successo personale, ma semplicemente perché si sente l’esigenza
di una solidarietà umana che a volte manca. Nel mio caso è forte anche la motivazione
spirituale e religiosa, perché altrimenti non lo avrei mai fatto perché i disagi sono
veramente tanti. Al di là di tutto questo, è certamente una esperienza che arricchisce
moltissimo: andare in una missione e vedere come lavorano ed operano questi padri,
che da 40 hanno deciso di lasciare tutto per stare in luoghi dove in realtà manca
veramente tutto. Sono esperienze toccanti e veramente molto forti.