Sierra Leone. Accanto agli ex bambini soldato per ridare speranza nella vita
Offrire una nuova occasione, una nuova vita agli ex bambini-soldato della Sierra Leone:
è l’impegno portato avanti, in modo instancabile, da padre Bepi Berton, missionario
saveriano, da 40 anni nel Paese africano. Padre Berton, che accoglie con affetto paterno
questi ragazzi travolti dalla guerra civile degli anni ’90, ha fondato una rete di
case-famiglie per assicurare loro il calore di un focolare. Raggiunto telefonicamente
a Freetown da Alessandro Gisotti, padre Berton si sofferma sulle difficoltà
che incontrano oggi gli ex bambini soldato nel reinserirsi nella società:
R. –
Per loro il problema è quello di avere un punto di riferimento, specialmente qualora
si trovassero in difficoltà. Con difficoltà intendo dire non tanto quella legata al
sopravvivere, ma quanto a quelle con la legge, perché se non hanno nessuno dietro
le spalle è difficile che se la possano cavare per conto proprio. Questo è il ruolo
che dobbiamo avere: rassicurare loro che possono trovare un aiuto che può sostituire
la famiglia che non c’è più.
D. – Questi ragazzi
hanno un passato terribile. Come è riuscito a mettersi in relazione con loro?
R.
– Hanno avuto certamente un passato terribile, ma allo stesso tempo sono dei buoni
ragazzi che riconoscono ora anche – diciamo così – la sfortuna che hanno avuto di
essere caduti in mano a dei criminali. Tra di loro ci sono quelli che perseguitavano
e che erano anche perseguitati. Hanno un modo di convivenza molto realistico, perché
hanno compreso che tutti vengono fuori da un abuso che era fatto sia agli uni, sia
agli altri da quella cosiddetta società adulta, che non aveva senso.
D.
– Come testimoniare l’amore cristiano a questi ragazzi?
R.
– Prima di tutto amandoli e poi, direi, anche, non chiedendo loro troppo riguardo
al passato, a meno che non siano loro stessi a sentire il bisogno di parlarne. Bisogna
prenderli così come si presentano e per quel che sono ora, nel presente, e cercare
di fare in qualche modo le veci dei genitori, della famiglia. Dobbiamo anche accettarli
con i loro alti e bassi, accettando anche il fatto che si tratta di un percorso molto
lungo.
D. – Padre, che cosa questi ragazzi, con
le loro sofferenze, le hanno insegnato?
R. – Prima
di tutto la meraviglia, la meraviglia perché io non riesco a capire che razza di ammortizzatori
hanno nella loro vita per poter riprendere – con una sorta di sorprendente normalità
– a vivere e ad accettare anche persone che nella loro vita precedente sono state
quelle che li hanno odiati. Credo che abbiano proprio dentro, nel loro sangue, la
vita cristiana: che si cade e ci si riprende, si ricade ancora e ci si riprende un'altra
volta. E così si va avanti, finché Dio vuole!
D.
– Quale appello si sente di rivolgere attraverso i microfoni della Radio Vaticana?
R.
– Sentire la vicinanza per il fatto che ci si lavori insieme è certamente un grande
incoraggiamento. Sentire che non si è soli e che, anche con questa intervista, sapere
che malgrado la lontananza da Roma c’è chi ci pensa è certamente un grande aiuto.
L’urgenza che ho oggi è quella di poter essere presente nelle carceri minorili e poter
aiutare a tirare fuori questi ragazzi da quei luoghi per poterli assistere, per poterli
proteggere, per poter offrire loro una vita normale.
Chiunque
voglia aiutare concretamente padre Berton, lo può fare attraverso il conto corrente
postale 204438 intestato alla Procura delle Missioni Saveriane (viale San Martino
8, cap 43100 Parma) indicando nella causale: “Per padre Bepi Berton”.