Il cardinale Saraiva Martins: i martiri di Spagna ci dicono che non possiamo accontentarci
di una fede tiepida
Oltre 40 mila persone, dunque, in gran parte spagnoli, hanno partecipato questa mattina
in Piazza San Pietro alla Beatificazione dei 498 martiri della persecuzione religiosa
avvenuta in Spagna negli anni Trenta del secolo scorso. Il cardinale José Saraiva
Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che ha presieduto il
rito, nell’omelia ha ricordato che questi martiri prima di morire hanno perdonato
i loro persecutori, addirittura pregando per loro. Il porporato ha sottolineato che
“viviamo in un’epoca in cui i cristiani sono minacciati nella loro vera identità:
e questo vuol dire che essi o sono ‘martiri’, cioè aderiscono alla fede battesimale
in modo coerente, o si adeguano” ai valori che propone il mondo. “La vita cristiana
– ha proseguito - è confessione personale quotidiana della fede nel Figlio di Dio
fatto uomo, che può richiedere anche il sangue”. “Non possiamo accontentarci di un
cristianesimo vissuto tiepidamente”. Ma ascoltiamo il cardinale Saraiva Martins
in questa intervista di Giovanni Peduto:
R. –
La beatificazione di martiri è sempre molto, molto significativa per la Chiesa, perché
quando parliamo dei martiri si pensa sempre ai primi secoli, mentre una beatificazione
di questo genere ci fa invece comprendere come anche oggi ci siano dei martiri, anche
nel nostro tempo. Bisogna pure dire che il secolo scorso è stato il secolo che ha
visto più martiri nella storia della Chiesa. La Chiesa ha, quindi, essenzialmente
una vocazione al martirio e questa beatificazione ne è una ennesima prova e, quindi,
appare evidente che il martirio non è una cosa del passato o una cosa della storia,
ma si tratta di una cosa presente, che caratterizza ogni tempo della storia della
Chiesa. Una Chiesa che non è martire, non è una vera Chiesa di Cristo; così come una
Chiesa che non è missionaria, non sarebbe una vera Chiesa di Cristo.
D.
– Alcuni di questi martiri, eminenza, precedono la guerra civile spagnola, mentre
altri invece sono proprio di quel periodo. Ci può rievocare un po’ l’atmosfera in
cui è maturato il martirio?
R. – L’atmosfera di quegli
anni era un’atmosfera che deve essere letta ed interpretata in chiave anticlericale.
I repubblicani, cosiddetti, avevano l’ideale, nella cattolica Spagna, di chiudere
con la Chiesa una volta per tutte. Questo ci fa quindi capire il perché di migliaia
e migliaia di persone uccise soltanto perché erano credenti: preti, laici, vescovi.
L’odium fidei di quei signori, dei repubblicani, era lo scopo e il motore che li animava
e li spingeva a cercare di far tacere la Chiesa una volta per tutte. Ma la Chiesa
è la Chiesa di Cristo e, quindi, sopravviverà a tutte le lotte, a tutte le persecuzioni
e - come diceva Tertulliano - “il sangue dei martiri è la semente di nuovi cristiani”.
Ed è veramente così.
D. – Eminenza, ci può descrivere
un caso che l’ha colpita più particolarmente?
R.
– Mi ha colpito moltissimo il martirio del gruppo di seminaristi di Barbastro, che
erano giovanissimi e che sono stati presi ed uccisi: erano anime innocenti e che avevano
come unico peccato quello di voler diventare sacerdoti. Questo mi ha colpito molto
e sempre quando ci penso mi vengono i brividi. Come è possibile che la cattiveria
umana possa arrivare a tanto?
D. – Eminenza, ancora
oggi tanti cristiani danno la vita per Cristo...
R.
– Sì, sono tantissimi. Come dicevo prima, la Chiesa dei martiri è la Chiesa di oggi,
così come era la Chiesa di ieri. Ogni giorno i mezzi di comunicazione sociale ci portano
notizie di questo o di quell’altro missionario, di questo o di quel gruppo di cristiani,
che sono oggetto di persecuzioni vere e proprie e in alcuni casi sono terribili e
che arrivano fino ad uccidere dei missionari innocenti che hanno come unica colpa
quella di voler adempiere il precetto del Signore “andate ed annunciate il Vangelo”.
D. – Il loro esempio spinge a vivere in maniera
più coerente noi cristiani che viviamo nei Paesi cosiddetti liberi...
R.
– Certamente, perché i martiri hanno proprio questo scopo. Loro hanno avuto un coraggio
straordinario ed umanamente inspiegabile, quel coraggio di essere disposti a dare
la propria vita piuttosto che rinnegare la loro fede nel Cristo. Questo certamente
è un grande stimolo per noi ed un grandissimo invito, un fortissimo invito che loro
ci rivolgono. Noi dobbiamo avere quello stesso coraggio che hanno avuto loro. Bisogna
essere coerenti con la nostra fede e far sì che la nostra fede non sia puramente astratta
e generica, ma sia una fede concreta e vissuta che ci dispone anche a dare la vita,
se necessario, per la fede.