Benedetto XVI ha ricevuto il leader della Presidenza collegiale della Bosnia-Erzegovina
per lo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo di Base tra Santa Sede e il
Paese balcanico. Il cardinale Bertone: “E’ un giorno storico”
Una importante udienza ha caratterizzato gli impegni odierni di Benedetto XVI, che
stamattina ha ricevuto il presidente della Presidenza Collegiale della Bosnia ed Erzegovina,
Željko Komšić. Subito dopo il colloquio con il Papa, il presidente Komšić e il cardinale
segretario di Stato, Tarcisio Bertone, hanno provveduto allo scambio degli strumenti
di ratifica dell’Accordo di Base fra la Santa Sede e la Bosnia-Erzegovina - firmato
a Sarajevo nel 2006 - e alla firma del relativo Protocollo addizionale, sempre del
2006, che definiscono gli ambiti dell’attività ecclesiale nel Paese balcanico. Il
servizio di Alessandro De Carolis:
I flash
dei fotografi nella Sala del Tronetto, prima che Benedetto XVI e il presidente Komšić
avviassero il loro colloquio privato. Oggetto del cordiale dialogo tra il Papa e il
leader balcanico sono state le considerazioni relative all’attuazione dell’Accordo
di Base in particolare, informa una nota della Sala Stampa Vaticana, “all’impegno
della Chiesa nei campi dell’educazione, delle attività sociali e caritative e dell’assistenza
pastorale ai fedeli cattolici”. Si è ribadito, prosegue il comunicato, “il contributo
della Comunità cattolica per favorire la pacifica convivenza fra le diverse etnie
e i gruppi religiosi nel Paese”. Da parte sua, il presidente Komšić ha sottolineato
l'importanza dell'Accordo di Base, parlando fra l'altro del progresso della Bosnia-Erzegovina
verso l'ingresso nell'Unione Europea e nella NATO e rivolgendo al Papa l’invito a
recarsi in visita nel Paese.
Nella cerimonia successiva,
al momento dello scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo di Base, il cardinale
segretario di Stato, Tarcisio Bertone ha parlato di “giorno storico” auspicando l’inizio
di “una lunga e proficua collaborazione” fra Santa Sede e Bosnia-Erzegovina. In un
Paese che ancora ricorda i drammi mai troppo sopiti della guerra oltre dieci anni
fa che frantumò l’ex Jugoslavia, lasciando dietro di sé 300 mila morti nella sola
Bosnia-Erzegovina e quasi due milioni tra profughi e sfollati - nonché una strisciante
instabilità della quale lo status del Kosovo è un esempio evidente - il cardinale
Bertone ha affermato che l’Accordo stipulato fra il Paese balcanico e la Santa Sede
“rappresenta un positivo sviluppo nel consolidamento dello stato di diritto e dei
principi democratici sui quali la Bosnia ed Erzegovina vuole fondare il proprio avvenire”.
Nell’Accordo di base, si riconosce la personalità giuridica della Chiesa cattolica
e dei suoi enti in seno alla società civile: un riconoscimento che si traduce, nei
fatti, in libertà di culto e di apostolato ma anche nel riconoscimento del contributo
ecclesiale nei settori della cultura della Bosnia-Erzegovina, dell’educazione, della
pastorale, oltre che in campo militare, assistenziale, caritativo e mediatico.
“In
uno Stato come la Bosnia ed Erzegovina, che accoglie entro i suoi confini una società
multi-etnica e pluri-religiosa, l’attuale Accordo - ha sostenuto il segretario di
Stato - risulta la miglior garanzia giuridica per assicurare l’ordinato svolgimento
della vita religiosa, soprattutto nelle sue implicazioni pubbliche”. Ciò, ha proseguito,
offrirà una “immagine positiva a livello internazionale” dello Stato balcanico e “contribuirà
al superamento dei gravi problemi ereditati dal passato ed alla costruzione di un
futuro migliore”. Un futuro - ha concluso il cardinale Bertone - in cui si possano
realizzare le aspirazioni di un Paese che, per storia e geografia, rappresenta un
singolare crocevia di identità diverse, ma che appartiene di pieno diritto all’Europa”.
L’attuale situazione della Bosnia-Erzegovina è dunque
figlia del conflitto che insanguinò il Paese fra il 1992 e il ’95. Un conflitto ricomposto
dagli Accordi di Dayton, che ha ridisegnato il territorio assegnandone una parte alla
Federazione croato-musulmana e l’altra parte alla Repubblica serba Srpska. Ma qual
è oggi la situazione e quali sono i rapporti fra le due entità della Bosnia-Erzegovina?
Luca Collodi lo ha chiesto al vescovo ausiliare di Sarajevo, Pero Sudar:
R. -
A Dayton sono stati confermati gli obiettivi della guerra, cioè la divisione etnica
nazionale di questo Paese, dopodiché si è cercato di farlo funzionare come fosse un
unico Paese. Questo si è dimostrato un modello che purtroppo non funziona. E temiamo
che non funzionerà mai se non si avrà il coraggio di ridefinire questa soluzione politica.
D. - Che cosa manca, mons. Sudar, alla Bosnia Erzegovina
oggi?
R. - Manca tantissimo. Prima di tutto, però,
manca una volontà e una capacità di fare di questo Paese un Paese normale, nel quale
siano garantiti prima di tutto i diritti umani e anche l’uguaglianza dei tre popoli,
che purtroppo la soluzione di Dayton non ha favorito e ha addirittura impedito.
D.
- Il ruolo della Chiesa cattolica nel Paese qual è?
R.
- Il suo ruolo, prima di tutto, è quello di un impegno, di uno sforzo teso alla sopravvivenza,
perché se non sopravvive, la tendenza dei cattolici è quella di andarsene via. L’attuale
scenario politico, infatti, impedisce lo sviluppo economico: non c’è lavoro e più
del 49 per cento della popolazione è disoccupato. La gente vive molto male e tutti
tendono, soprattutto i croati cattolici, a lasciare il Paese. Quindi, bisogna prima
di tutto incoraggiarli a rimanere e ad impegnarsi in questo Paese e poi bisogna cercare
di trasmettere i valori fondamentali, morali, senza i quali nessuna società - specialmente
una società uscita da una guerra orribile come la nostra - può funzionare. Bisogna
poi che la convivenza nella giustizia sia la chiave con cui questa famosa porta nel
futuro della Bosnia-Erzegovina, come del resto di tutto il mondo, possa essere aperta.
D.
- Il dialogo tra musulmani, ortodossi e cristiani può favorire il ritorno alla normalità
della Bosnia Erzegovina?
R. - Certo, può e deve favorirlo,
ma non può sostituirsi alle istituzioni che devono garantire i diritti fondamentali
nel Paese. Se non ci sono i diritti fondamentali, se non c’è l’uguaglianza, purtroppo,
non di rado, questo dialogo, questi tentativi, appaiono come un “gioco” e quando qualche
aspetto della Chiesa, delle religioni, viene percepito come un gioco, viene abbandonato
e rinnegato come tale.
D. - Mons. Sudar, la questione
del Kosovo può aiutare o rendere ancora più difficile la vita in Bosnia-Erzegovina?
R.
- Purtroppo, anche il “gioco” della politica internazionale in Kosovo rende la situazione
e il futuro della Bosnia-Erzegovina ancora più difficile, perché si calcola sempre
che la Repubblica Serpska, cioè una parte della Bosnia-Erzegovina, venga messa in
un unico “pacchetto” con il Kosovo. E dunque, noi abbiamo paura di queste trattative,
perché non si sa dove andranno a finire.
D. - L’ingresso
della Bosnia-Erzegovina in Europa potrebbe facilitare una soluzione per la vita del
Paese?
R. - Certo, però prima di entrare nella Comunità
europea, noi dobbiamo risolvere i nostri problemi cruciali. Non possiamo farne parte
così come siamo oggi, divisi, non disponibili o addirittura contrari già alla collaborazione
all’interno del Paese. Sicuramente questo deve essere il nostro auspicio, il nostro
futuro, ma la Comunità europea ci deve aiutare a farci diventare un Paese “normale”
e non essere un problema in più della Comunità europea.
D.
- La presenza dei militari internazionali, la forza di pace militare che è presente
in Bosnia, è ancora importante?
R. - E’ molto importante.
E’ l’unica organizzazione internazionale che abbia fatto il proprio dovere. E’ una
presenza della comunità internazionale, tramite i soldati, che viene molto apprezzata,
a garanzia della pace in Bosnia-Erzegovina. Noi ci auguriamo che questa presenza duri
il più a lungo possibile.