2007-10-22 15:29:54

Si è chiusa ieri la 45.ma edizione delle Settimane Sociali, momento di confronto sul ruolo dei cattolici nella società italiana. Con noi, il prof. Zamagni


E’ stato un grande momento di riflessione sul bene comune la 45.ma Settimana sociale dei cattolici italiani, che si è chiusa ieri a Pisa. Oltre mille delegati, in rappresentanza di 160 diocesi, che hanno portato la loro esperienza su come i cattolici possano influire in modo benefico sui processi politici, culturali, ed economici della nostra società. Come sottolineato da mons. Arrigo Miglio, presidente del Comitato organizzatore, occuparsi di bene comune “non significa limitarsi ad una dimensione orizzontale” della vita civile anche perché per la Chiesa "l'amore per il nostro Paese e l'impegno a servizio della città terrena" vengono direttamente dal messaggio evangelico. Alessandro Guarasci ha intervistato l’economista Stefano Zamagni, che ha partecipato alla Settimana Sociale: RealAudioMP3

R. – Ci si è resi conto, da parte non solo dei cattolici ma anche dei non credenti che la prospettiva del bene totale da un lato, e del bene collettivo dall’altro, non ci porta da nessuna parte. Il bene totale, per intenderci, è la prospettiva cosiddetta neo-liberista, il bene collettivo è la prospettiva socialista. Sta tornando in auge un’antica tradizione di pensiero che è quella della Dottrina sociale della Chiesa che almeno dal 1300 in avanti, parla appunto di bene comune. La difficoltà ovviamente, a questo punto, è di trovare i modi concreti di applicare la nozione di bene comune nella realtà di oggi.

 
D. – Professore, in una società che va verso il secolarismo, comunque è possibile, secondo lei, mettere al centro la persona?

 
R. – L’abilità e l’intelligenza dei cattolici in questo caso, non è tanto quella di fare battaglie ideologiche, ma di mostrare che a partire da quella concezione, che pone al centro l’individuo e le sue preferenze e quindi nega il concetto di persona umana, derivano esiti nefasti anche su tutta una serie di altri piani. Il punto è che a volte i cattolici occupano troppo tempo a contrastare le altrui posizioni sul loro piano anziché sul proprio. La mia tesi è che noi dobbiamo mostrare la superiorità del concetto di bene comune e la centralità del valore della persona umana sul piano delle opere, non soltanto sul piano dei proclami.

 
D. – Hanno suscitato grande interesse le parole del Papa sul lavoro stabile. Davvero l’emergenza di oggi per fare il bene comune è dare certezza ai giovani che si stanno affacciando nel mondo del lavoro?

 
R. – Noi dobbiamo puntare sulla non precarietà dell’attività lavorativa. Questo si consegue garantendo una flessibilità che vuol dire transitare su profili ed attività professionali diverse, accompagnate da politiche nuove di Welfare che in Italia non si vuole attivare perché noi non abbiamo, ad esempio, quelle politiche di Welfare che nei Paesi del nord Europa hanno. Perché se si va in Olanda, se si va in Svezia, Danimarca, questi problemi della precarietà non esistono? Lì, ad esempio, ci sono dei sussidi per transitare da un profilo professionale ad un altro che coprono fino a tre anni.







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