Si è chiusa ieri la 45.ma edizione delle Settimane Sociali, momento di confronto sul
ruolo dei cattolici nella società italiana. Con noi, il prof. Zamagni
E’ stato un grande momento di riflessione sul bene comune la 45.ma Settimana sociale
dei cattolici italiani, che si è chiusa ieri a Pisa. Oltre mille delegati, in rappresentanza
di 160 diocesi, che hanno portato la loro esperienza su come i cattolici possano influire
in modo benefico sui processi politici, culturali, ed economici della nostra società.
Come sottolineato da mons. Arrigo Miglio, presidente del Comitato organizzatore, occuparsi
di bene comune “non significa limitarsi ad una dimensione orizzontale” della vita
civile anche perché per la Chiesa "l'amore per il nostro Paese e l'impegno a servizio
della città terrena" vengono direttamente dal messaggio evangelico. Alessandro
Guarasci ha intervistato l’economista Stefano Zamagni, che ha partecipato
alla Settimana Sociale:
R. – Ci
si è resi conto, da parte non solo dei cattolici ma anche dei non credenti che la
prospettiva del bene totale da un lato, e del bene collettivo dall’altro, non ci porta
da nessuna parte. Il bene totale, per intenderci, è la prospettiva cosiddetta neo-liberista,
il bene collettivo è la prospettiva socialista. Sta tornando in auge un’antica tradizione
di pensiero che è quella della Dottrina sociale della Chiesa che almeno dal 1300 in
avanti, parla appunto di bene comune. La difficoltà ovviamente, a questo punto, è
di trovare i modi concreti di applicare la nozione di bene comune nella realtà di
oggi.
D. – Professore, in una società che va verso
il secolarismo, comunque è possibile, secondo lei, mettere al centro la persona?
R.
– L’abilità e l’intelligenza dei cattolici in questo caso, non è tanto quella di fare
battaglie ideologiche, ma di mostrare che a partire da quella concezione, che pone
al centro l’individuo e le sue preferenze e quindi nega il concetto di persona umana,
derivano esiti nefasti anche su tutta una serie di altri piani. Il punto è che a volte
i cattolici occupano troppo tempo a contrastare le altrui posizioni sul loro piano
anziché sul proprio. La mia tesi è che noi dobbiamo mostrare la superiorità del concetto
di bene comune e la centralità del valore della persona umana sul piano delle opere,
non soltanto sul piano dei proclami.
D. – Hanno
suscitato grande interesse le parole del Papa sul lavoro stabile. Davvero l’emergenza
di oggi per fare il bene comune è dare certezza ai giovani che si stanno affacciando
nel mondo del lavoro?
R. – Noi dobbiamo puntare sulla
non precarietà dell’attività lavorativa. Questo si consegue garantendo una flessibilità
che vuol dire transitare su profili ed attività professionali diverse, accompagnate
da politiche nuove di Welfare che in Italia non si vuole attivare perché noi non abbiamo,
ad esempio, quelle politiche di Welfare che nei Paesi del nord Europa hanno. Perché
se si va in Olanda, se si va in Svezia, Danimarca, questi problemi della precarietà
non esistono? Lì, ad esempio, ci sono dei sussidi per transitare da un profilo professionale
ad un altro che coprono fino a tre anni.