Tutte le chiese per tutto il mondo: è lo slogan dell'odierna Giornata missionaria
mondiale
“Tutte le Chiese per tutto il mondo” è lo slogan che accompagna la celebrazione dell’odierna
Giornata missionaria mondiale, giunta alla 21.ma edizione e istituita nel 1926 da
Pio XI. Nel suo messaggio per questa Giornata, Benedetto XVI invita a riflettere sull’importanza
dell’azione missionaria che svolge la Chiesa. Giovanni Peduto ne ha parlato
con padre Gian Paolo Uras, responsabile della casa madre della Comunità missionaria
di Villa Regia:
R. -
Lui, Pastore della Chiesa universale, fa appello alle Chiese locali perché, unendosi
in un unico sforzo, rispondano con generosità al mandato missionario. In questo modo
decreta con autorevolezza l’avvenuta maturazione della coscienza ecclesiale che ogni
Chiesa locale è un soggetto vivo e attivo di missione, ad ogni latitudine e in ogni
situazione. Sappiamo che il Concilio nel documento Ad Gentes aveva dichiarato: “La
Chiesa è missionaria per sua natura” e questo ci aveva fatto capire che ogni Chiesa
locale, per quanto povera e bisognosa, è in grado ed ha il dovere di essere missionaria!
Oggi il movimento che si delinea non è più da nord verso sud, dalle Chiese di antica
cristianità verso le cosiddette “terre di missione”, ma siamo in presenza di un nuovo
modo di pensare l’azione evangelizzatrice di tutta la Chiesa: tutte le Chiese all’unisono
e in piena comunione sono proiettate fuori dai loro confini, ad extra come è avvenuto
nel giorno di Pentecoste.
D. - Il Papa rileva che
le Chiese di antica tradizione corrono il rischio di “rinchiudersi in se stesse” davanti
alle sfide dell’oggi …
R. - È facile per noi missionari
quando parliamo degli immensi bisogni della missione ad gentes sentirci rispondere
qui in Italia: “La missione è qui”; oppure “Anche in Italia abbiamo bisogno”. Effettivamente
crediamo che dovunque ci sia un cuore che cerca il Signore o un giovane che non trova
un senso alla propria vita lì c’è un annuncio da dare, un messaggio speciale da comunicare,
che è la Buona Notizia della salvezza portata da Gesù. Allo stesso tempo avvertiamo
che, davanti a questi bisogni locali, le Chiese di antica tradizione corrono il rischio
di rinchiudersi in se stesse, facendo morire la Vita che racchiudono. Il non sentire
l’urgenza di portare al di là dei confini della propria città, del proprio Paese,
del proprio continente ciò che di più prezioso si è ricevuto, cioè la fede, è già
denunciare che lo slancio di una fede viva è in pericolo. Ci ricordiamo che la “fede
si rafforza donandola” (RMi 2)! Nello stesso tempo, oggi, assistiamo anche nelle Chiese
di antica tradizione a diversi tentativi di nuova evangelizzazione verso i lontani,
negli ambiti più disparati, dal web alla musica, all’evangelizzazione di strada, nelle
spiagge… :sono i segni di una vitalità dello Spirito Santo che continua a permeare
la sua Chiesa.
D. - Come annunciare Cristo nella
società odierna? R. - Credo che oggi una strada per annunciare
Cristo ai ragazzi, ai giovani, alle coppie di sposi permettendo loro un incontro con
il Dio vivo sia quella di offrire dei luoghi, delle comunità dove altre persone vivono
nell’amore reciproco, nel dono di sé, nel perdono vicendevole. È questa la nostra
esperienza di Comunità dedita totalmente alla missione ad gentes. Il primo annuncio
arriva agli altri prima di tutto attraverso il nostro essere comunità. C’impegniamo,
per così dire, a “fare missione essendo Comunità”, dove la tensione costante a vivere
nella concordia fraterna attira la Presenza di Dio che si rivela al mondo. “Come tu,
Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo
creda che tu mi hai mandato”: queste parole del Vangelo di Giovanni costituiscono
l’anima della nostra vita. Ovunque abbiamo sperimentato che la comunione diviene incessantemente
evangelizzazione, missione.
D. - Chi sono oggi i
missionari? R. - Penso a due giovani da poco entrati a far parte
della nostra Comunità. Mattia, 25 anni, ha concluso gli studi universitari di fisica
nucleare e, da poco più di un anno, dopo un campo di lavoro missionario, si è riavvicinato
a Dio. Sonia, 26 anni, laureata in filosofia, invece ha alle spalle un intenso cammino
di impegno in parrocchia. I due sono accomunati da una stessa esperienza: l’incontro
con un Dio vivo da cui sono rimasti affascinati. Credo che oggi, in un mondo segnato
dal relativismo, dallo scetticismo, da una cultura secolarizzata, i missionari siano
uomini, donne che hanno fatto un’esperienza viva e personale di Cristo magari incontrato
sulla via di Emmaus, dove forse hanno sperimentato la delusione di una vita senza
Luce, l’amarezza di un’esistenza lontana dalla Chiesa, dove talvolta hanno toccato
con mano anche situazioni di tenebre… Solo il fuoco dell’amore per Dio e per gli uomini
può inviare questi uomini e donne, consacrati o laici, fino agli estremi confini della
terra!
D. - La sua testimonianza di missionario …
R.
- Nel 1985, a 24 anni, ho iniziato assieme ad altri missionari e missionarie la nostra
missione in Perù alla periferia di Lima. Ci siamo trovati in un contesto di estrema
povertà, chiamati in una zona pastorale di oltre 120.000 persone. Eravamo in pochi
davanti ai tanti bisogni della gente: mancanza di cibo causa di una mortalità infantile
elevata, situazioni lavorative precarie, case di stuoie… Tuttavia da subito abbiamo
scoperto la profonda dignità della gente che, accogliendoci e sapendo che avremmo
abitato lì con loro, ci ha detto: “Allora Dio non si è dimenticato di noi”. È in questo
contesto che sono stato ordinato sacerdote. La mia prima benedizione l’ho data ad
un giovane di 24 anni che avevamo aiutato nella sua lotta disperata contro la TBC.
Era morto nella sua baracca perché non aveva avuto la possibilità di accedere a cure
mediche. In mezzo a questa miseria siamo stati chiamati a dare testimonianza dell’amore
di Dio… è stata la gente stessa che ci ha confermato nel dare priorità alla nostra
azione missionaria. Abbiamo da subito realizzato opere di promozione umana: un centro
medico, delle mense popolari, dei bazar di indumenti. In tanti, però, hanno manifestato
il bisogno di avere una chiesa dove poter incontrare Dio, celebrare la vita e la morte,
la gioia e il dolore, vivere, in altre parole, il loro essere figli di Dio.
La
Giornata missionaria mondiale viene celebrata in tutte le chiese del mondo. In Brasile,
le Pontificie Opere Missionarie (POM) hanno lanciato un'iniziativa in sintonia con
la Campagna della Fraternità, sul tema “Dio ama senza frontiere: dall’Amazzonia per
il mondo”. Christiane Murray, della redazione brasiliana della nostra emittente,
ha sentito il direttore delle POM brasiliane, padre Daniel Lagni:
R. –
Vogliamo volgere il nostro sguardo verso il mondo, oltre i problemi, le sfide che
abbiamo a livello interno, soprattutto in Amazzonia. Vogliamo guardare anche al mondo.
La missione non ha frontiere, è universale, è della Chiesa. Il Regno di Dio è più
grande delle nostre frontiere. Quindi, facciamo un grosso appello per la missione
universale. Anche noi brasiliani dobbiamo dare un po’ della nostra povertà, sia nel
senso dei missionari - abbiamo più o meno 1860 missionari nel mondo soprattutto in
Africa - ma anche in senso economico, abbiamo piccole risorse, ma abbiamo il dovere
di partecipare a questo fondo universale di solidarietà per le missioni. Di questi
1860 brasiliani, missionari all’estero, l’81 per cento sono suore, il 5 per cento
sono altri religiosi e l’1 per cento fanno parte del clero diocesano e dei laici.
Dobbiamo, penso, soprattutto sviluppare la vocazione missionaria laica, perché ci
sono delle vocazioni ma non abbiamo al momento le strutture necessarie per affrontare
la sfida della missione dei laici nel mondo.