A Verona, Benedetto XVI ci ha esortato ad allargare la ragione: il commento del
vescovo Fisichella, nel primo anniversario del IV Convegno nazionale della Chiesa
italiana
E’ indispensabile “dare alla testimonianza cristiana contenuti concreti e praticabili”,
esaminando come essa “possa attuarsi e svilupparsi in ciascuno di quei grandi ambiti
nei quali si articola l'esperienza umana”. E’ la sfida che Benedetto XVI ha lanciato
alla Chiesa italiana - esattamente un anno fa - nel discorso al Convegno ecclesiale
di Verona, incentrato sul tema “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”. Per
un bilancio dell’evento di Verona, nel primo anniversario dell’intervento del Papa,
Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo Rino Fisichella, rettore
della Pontificia Università Lateranense:
R. –
Credo sia stato un evento che porta ancora tanta vitalità nelle nostre Chiese particolari.
Io credo che Verona – come ha detto il Papa – abbia permesso di allargare la ragione
e quindi di vedere quante ragioni possiamo portare nel dibattito pubblico del nostro
Paese, con quanti desiderano confrontarsi anche con noi o perlomeno conoscere le nostre
argomentazioni. Oggi, ad un anno di distanza, abbiamo la possibilità di esprimere
un ulteriore segno di tutto questo, cioè la capacità di un impegno sociale nella Chiesa
che ancora una volta è sempre e soltanto rivolto al bene di tutti e alla dignità di
ogni persona.
D. – Al Congresso ecclesiale di Verona,
il Papa ha invitato la Chiesa italiana a rendere visibile quel grande “sì” che in
Gesù Cristo, Dio ha detto all’uomo e alla sua vita. Come convincere quanti oggi sostengono
che la Chiesa proponga una serie di “no” piuttosto che un grande e profondo “sì”?
R.
– Credo che tante volte non si voglia conoscere quello che di fatto proponiamo. Nel
momento in cui la fede e la ragione sono se stesse, rappresentano un messaggio altamente
positivo. Nel momento in cui siamo presenti nel dibattito pubblico con la nostra identità,
senza annacquarla, senza volerla nascondere, è evidente che portiamo un messaggio
d’amore. Ma quando si capisce questo messaggio? Quando questo messaggio è veramente
forte, allora si comprende che è un grande “sì” che viene detto. Ma l’amore – lo sappiamo
tutti – l’amore comporta una grande dedizione verso la persona amata: per potere dire
un grande “sì”, è necessario credere che questo “sì” sia fattibile. Quando questo
“sì” è dato all’amore, sono convinto che chiunque viva di questa realtà, la comprende
ma sa anche di conseguenza capire che ha bisogno, per viverla intensamente, di fare
anche delle rinunce.
D. – In Italia, come un po’
in tutto l’Occidente, si registra la tendenza a delimitare la dimensione religiosa
alla sfera privata. La Chiesa rischia l’emarginazione dal dibattito pubblico?
R.
– Credo che si voglia far correre questo rischio alla Chiesa in un duplice modo. Il
primo modo è di creare le condizioni attraverso le quali la sua parola viene presentata
come una parola non conforme al modo del progresso della scienza, del progresso della
cultura, del progresso dell’umanità. E io credo che non ci sia nulla di più falso
di tutto questo. Se c’è una condizione proprio del pensiero stesso, insito nel cristianesimo,
questo è proprio quello di andare incontro alle culture e di consentire che le culture,
il progresso, la scienza, abbiano il più possibile a sviluppare quei principi, quei
segni di verità che portano dentro di sé. Però, credo che ci sia anche un altro pericolo,
ed è quello – da parte nostra – di non avere la forte convinzione della verità che
professiamo. Nel momento in cui noi stessi inseriamo il dubbio, evidentemente siamo
portati anche ad annacquare il nostro impegno nel mondo.