Rapporto Caritas-Zancan: famiglie con più di due figli a rischio povertà in Italia
Cresce la povertà in Italia: è la denuncia che emerge dal settimo rapporto su emarginazione
ed esclusione sociale della Caritas italiana e della Fondazione Zancan, presentato
ieri a Roma. Particolarmente a rischio povertà sono le famiglie con più di due figli.
Cosa fare? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Tiziano Vecchiato, direttore
della Fondazione Zancan:
R. – Il
primo punto è quello di passare dai trasferimenti monetari ai servizi. Oggi in Italia
spendiamo 750 euro pro capite per assistenza e protezione sociale, ma solo 86 sono
dati in servizi: tutti gli altri sono dati in termini di trasferimenti monetari. L’esperienza
ci dimostra – e non soltanto la nostra, ma anche quella di altri Paesi – che i soli
trasferimenti monetari non scalfiscono il problema. La seconda proposta è quella di
passare da una gestione centrale, come oggi avviene essendo statale, ad una gestione
regionale locale di una parte più consistente di queste risorse, in modo che ci sia
una maggiore responsabilizzazione ed anche nell’uso e nella destinazione di questi
fondi.
D. – Veniamo all’impegno della politica oggi
in Italia per i poveri: si è parlato della lotta all’evasione fiscale come un importante
passo per contrastare la povertà, ma di fatto è emersa anche una contraddizione…
R.
– La contraddizione è che l’evasione fiscale dell’IVA e non di tutta l’evasione equivale
all’intera spesa sociale annuale italiana e quindi circa 44 miliardi e mezzo di euro.
Questo ci dà la misura dell’enorme potenziale che avremmo, se vivessimo in un Paese
più civile e più solidale. E’ ovvio che la proposta di piano di lotta alla povertà
non può contare su questo, perché questo implica un cambiamento di lungo periodo e,
quindi, la proposta che noi facciamo nel Rapporto è di usare molto meglio quei 44
miliardi e mezzo di euro che spendiamo ogni anno.
D.
– Ecco la cifra denunciata, la sentiamo dire anche dal premier Prodi, non risponde
ad una cifra realmente disponibile?
R. – Abbiamo
visto quest’anno che fine hanno fatto le cifre disponibili, definite di volta in volta
“tesoretto” o altro, perché poi ci sono molti richiedenti, c’è una fila di richiedenti.
Ovviamente i poveri non hanno una rappresentanza politica, per cui alla fine la destinazione
non va in questa direzione.
Sulla lotta alla povertà in Italia ecco quanto
ci riferisce mons. Francesco Montenegro, presidente della Caritas italiana,
sempre al microfono di Paolo Ondarza:
R. – C’è
tanto da fare, perché non è con le toppe che si può risolvere un problema così grave,
anche perché la povertà va purtroppo ad aumentare. Le famiglie povere sono tante.
Prima si diceva “un sud povero” ed il sud continua ad essere sempre più povero, ma
anche nel nord incominciano ad esserci fasce di povertà, soprattutto persone anziane,
che improvvisamente cadono in quello che è il confine della povertà.
D.
– Le parlava di un indebolimento della coscienza pubblica in Italia, rispetto a tematiche
come queste…
R. – Sì, c’è tanto egoismo. C’è forse
una forma di corporativismo tante volte, che fa guardare i propri interessi e fa dimenticare
che c’è anche l’altro, che è vicino a ciascuno di noi, che può aver bisogno di attenzione
anche da parte nostra, anche perché non tutti sanno difendere i propri diritti. Ci
vuole allora qualcuno che aiuti e qua non si tratta soltanto di dar voce ai poveri,
perché credo che il nostro compito sia quello che il povero finalmente possa parlare.
D. – La povertà – diceva – non è un destino e il
Rapporto, anche nelle sue proposte, non è un libro di sogni. Coltiva un sogno realizzabile?
R.
– Io vengo dal sud e pensando a tanti ragazzi il mio sogno è che anche loro possano
arrivare a pensare che anche per loro c’è un futuro e soprattutto poterlo pensare
con gioia. Io vedo i giovani della mia zona, che proprio quando hanno terminato l’Università
cominciano ad entrare in crisi, perché anziché avere la soddisfazione di poter dire
"finalmente ho una laurea", si domandano “e adesso?”. Fin quanto ci sono questi interrogativi,
vuol dire che qualcosa nell’ingranaggio ancora non funziona.