Mons. Tomasi: la comunità internazionale vieti le "bombe a grappolo"
La piaga delle "bombe a grappolo" si presenta ormai come una vera e propria emergenza
internazionale. Utilizzate fin dagli anni Settanta in un gran numero di conflitti,
non ultimo quello dell’estate scorsa tra Israele e Libano, le "cluster bomb" rappresentano
una delle principali minacce per la popolazione civile dei Paesi colpiti. Proprio
per valutare l’impatto devastante di questo tipo di ordigni e le misure necessarie
per una loro eliminazione, si sono riunite nei giorni scorsi a Belgrado le organizzazioni
non governative e le vittime sopravvissute alle esplosioni, provenienti da ben 22
Paesi. Secondo le stime delle organizzazioni specializzate, almeno 75 Paesi al mondo
detengono tra i loro armamenti le bombe a grappolo, mentre sono 34 i Paesi che le
producono. Una situazione che da sempre crea apprensione presso la Santa Sede, come
ci conferma anche l'arcivescovoSilvano Maria Tomasi, osservatore permanente
della SantaSede presso l’ufficio ONU di Ginevra:
R. -
Queste bombe a frammentazione non esplodono subito, rimangono sul terreno e continuano
a creare vittime per anni dopo essere state lanciate. Quindi, davanti a questa situazione,
la comunità internazionale - spinta anche da motivazioni etiche, proposte dalla missione
della Santa Sede - si sta muovendo in maniera molto costruttiva e con una risposta
sempre più numerosa da parte di vari Paesi, per cercare di arrivare eventualmente
ad un nuovo Trattato, complementare a quelli che già esistono, per l’eliminazione
di questo tipo di bombe.
D. - Quali sono in questo
contesto le priorità che le organizzazioni internazionali, anche non governative,
devono affrontare?
R. - La comunità internazionale,
le organizzazioni di volontariato, possono e devono partecipare a questo processo,
che si muove su due rotaie: quella del processo di Oslo, al quale partecipano sempre
più Paesi nuovi, Paesi africani, Paesi del Medio Oriente, e praticamente tutti gli
Stati che devono confrontarsi con questo problema sul loro territorio. In particolare,
il contributo della Santa Sede è quello di cercare di dare e di far capire che la
priorità deve essere data alle vittime di questo tipo di bombe, in modo che si responsabilizzi
sia lo Stato che la comunità internazionale ad aiutare non solo le vittime individuali,
ma anche le loro famiglie e le comunità nelle quali queste vittime vivono. Secondo
punto, si deve mettere l’accento sul fatto che, mentre lo Stato è il primo responsabile
per bonificare il territorio dalla presenza di questi ordigni, è importante che la
comunità internazionale mostri la sua solidarietà, sia provvedendo con tecnologia
che provvedendo con mezzi e aiuti di vario tipo, per fare in modo che si possa creare
un ambiente risanato dove la gente possa vivere e lo sviluppo sociale possa prendere
campo.