La "Messa da Requiem" di Giuseppe Verdi eseguita ieri a San Paolo fuori le Mura, seconda
tappa del Festival internazionale di musica e arta sacra
Un immenso capolavoro della musica sacra composto per celebrare la scomparsa del venerato
Alessandro Manzoni e occasione per confrontarsi col mistero della morte. E’ la “Messa
da Requiem” di Giuseppe Verdi che ieri, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura,
ha segnato la seconda tappa del Festival internazionale di musica e arte sacra in
corso a Roma fino a sabato. Sul podio, il Maestro Daniele Gatti a dirigere i “Wiener
Philharmoniker”, orchestra in residence del Festival, affiancati dal Coro dell’Accademia
nazionale di Santa Cecilia e da un prestigioso quartetto di solisti: il soprano Fiorenza
Cedolins, il mezzosoprano Dolora Zajick, il tenore Fabio Sartori e il basso Ferruccio
Furlanetto. Ad assistere alla cerimonia, vi erano fra gli altri l'arciprete della
Basilica di San Paolo Fuori le Mura, il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo,
e il cardinale Francesco Marchisano, presidente dell'Ufficio del Lavoro della Sede
Apostolica. Il servizio di Gabriella Ceraso:
(musica)
Squilli
di tromba, colpi minacciosi di grancassa, esplosioni di voci rotte da improvvisi silenzi
e sussurri angosciati: sin dalle prime note, la Messa di Verdi ci trasporta nel vivo
del Giudizio finale, dinanzi al dramma dei morti al cospetto dell’Eterno, da cui si
innalza la supplica dell’umanità intera: “Libera me, Domine, de morte aeterna”. Il
musicista di Busseto adopera la scrittura più varia e più complessa in armonia, timbri,
contrappunti, carica di reminiscenze operistiche, di senso drammatico, di uomo di
teatro qual era. Per questo: “Requiem”. Il Maestro Daniele Gatti:
“Ci
sono dei canoni magari più vicini a quella che è un’area lirica, ma io penso che,
al di là di questo, è la spiritualità che innerva tutta la composizione da tenere
presente, frutto anche di una persona che probabilmente era alla ricerca di una fede,
di un Dio... Chi scrive queste cose, ce le ha dentro”.
Non
si fa divulgatore del messaggio cristiano, Verdi, non praticante e non credente. Ma
interpreta il testo liturgico in un’alternanza continua in musiche e parole tra terrore
del supplizio e pietà: così il Maestro legge il mistero della morte. Ancora Gatti:
“Il
testo stesso, scelto da Verdi, è un testo che è articolato sia in terza persona che
in prima persona, e questo è molto importante, perché la sequenza dei morti è recitata
in terza persona, quindi un po’ astratta, non partecipante... In altri casi, invece,
i solisti cantano in prima persona, cioè: ‘Io, peccatore, abbi pietà di me!’, e cambia
il rapporto quindi con il Dio-Giudice da questo punto di vista. C'è il terrore per
la punizione ma, d’altro canto, con il testo in prima persona, anche il rapporto più
intimo con una figura paterna”.
Ne scaturisce
uno spirito religioso, seppur intimo, individuale, aspro, che tradisce alla fine la
cupezza tipica della Messa da Requiem:
“Potrebbe
apparire in un primo momento una visione molto pessimistica della morte, però non
dimentichiamo che il “Libera me” finale finisce con un accordo maggiore, radioso,
e le ultime parole non terminano in un’atmosfera cupa, di disperazione ma terminano
in un’atmosfera aperta che quantomeno ha la speranza!”.