A Norcia, laici e cattolici si confrontano su scienza e fede, in un incontro promosso
dalla Fondazione Magna Carta
Religione, scienza e la prova della ragione. E’ questo il tema al quale quest’anno
la Fondazione Magna Carta dedica il tradizionale appuntamento fra laici e cattolici
nell’ambito degli “Incontri di Norcia – A Cesare e a Dio”. Scienziati e intellettuali
di diverso orientamento si confronteranno, domani e domenica nella città umbra, sul
terreno quanto mai attuale del rapporto tra scienza e fede. In tale occasione, verrà
inoltre presentato il documento “Fides, ratio, scientia. Il dibattito sull’evoluzionismo”
del cardinale Christoph Schönborn. Tra quanti interverranno alla due giorni di Norcia,
c’è anche la prof.ssa Assuntina Morresi, docente di Chimica fisica all’Università
di Perugia, che in questa intervista di Alessandro Gisotti si sofferma sui
rischi di una visione ideologica della scienza:
R.
– La scienza vera non è altro che la sfida fra la ragione dell’uomo, che vuole comprendere
il significato della realtà e la realtà che si svela pian piano. Da questo punto di
vista non c’è nessun problema fra scienza e fede. Il problema sorge quando la scienza
viene adottata come unico punto di vista e diventa l’unica misura della realtà. A
quel punto, però, non è più scienza, ma ideologia. La comunicazione di alcune scoperte
scientifiche fatte passare come la risoluzione di tutti i problemi dell’umanità spinge
ad una lettura ideologica della scienza, che però con la scienza ha ben poco a che
fare.
D. – Il Papa ha messo più volte in guardia
dai rischi di una scienza che si pretenda completamente autonoma nei confronti delle
norme morali iscritte nella natura dell’essere umano. Dunque, è l’approccio ideologico
che incide su questo “delirio di onnipotenza” della scienza, in particolare della
tecnica...
R. - Sì, assolutamente! Noi non stiamo
parlando più della scienza vera e propria, ma di un’ideologia scientista, che pretende
di essere l’unico metro di misura. Questo tipo di applicazioni tecnoscientifiche non
sono rispettose dell’uomo perchè non guardano innanzitutto il dato reale. La questione
che anche ieri il Papa ha richiamato con l’ambasciatore della Corea del Sud presso
la Santa Sede, cioè l’appello a non utilizzare gli embrioni umani per la ricerca,
a non vivisezionarli, a non distruggerli, è un appello che fa innanzitutto riferimento
al realismo dello scienziato. Se lo scienziato guarda nel microscopio e vede un embrione
umano, sa già che la scienza, quella buona, non può utilizzare, strumentalizzare un
uomo per, presumibilmente, salvare una vita ad un altro uomo. Questa non è scienza,
l’abbiamo rifiutata da tanti anni.
D. – Benedetto
XVI sottolinea, come già peraltro l’allora cardinale Ratzinger, la necessità di “allargare
la ragione”. Come raccogliere questa sfida? Come la raccoglie lei, una persona che
dedica la sua vita alla ricerca scientifica?
R. –
Innanzitutto, allargare la ragione significa, nel lavoro di uno scienziato, cogliere
tutti i fattori della realtà. Il che significa che per esempio non si può solo guardare
all’utilità di una scoperta scientifica, ma bisogna innanzitutto guardare all’oggetto
della ricerca scientifica e per che cosa si usa nella ricerca scientifica. Se l’oggetto
è il bene dell’uomo, se il fine è il bene dell’uomo, noi non possiamo strumentalizzare
l’uomo, utilizzandolo e distruggendolo per il bene di un altro. Allargare la ragione
significa osservare tutti i fattori della realtà e cercare di cogliere tutte le implicazioni
che il nostro lavoro di scienziati ha. Se se ne colgono solo alcune e si chiudono
gli occhi davanti ad altre allora il lavoro non è corretto dal punto di vista scientifico
e non è soprattutto corretto come atteggiamento di onestà intellettuale.