2007-10-11 14:52:36

Continua la fuga dei cristiani dall'Iraq


L’incessante violenza che percorre tutto l’Iraq costringe migliaia di persone ogni mese a fuggire dalle proprie case, aggravando ulteriormente una già drammatica crisi umanitaria. In base alle stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), sono quasi 2 milioni gli sfollati all’interno dell’Iraq e altrettanti i rifugiati iracheni nei Paesi limitrofi, soprattutto in Siria e Giordania. Un’altra importante realtà è quella dei cristiani iracheni riparati in Libano: dove ormai da anni - tra tante difficoltà - sono accolte intere famiglie in fuga dal Paese del Golfo. Ce ne parla Raymond El-Hachem, segretario generale del servizio migranti di Caritas Libano, intervistato da Giada Aquilino:RealAudioMP3


R. – Sono almeno un migliaio le famiglie di iracheni cristiani in Libano e queste famiglie sono composte quasi tutte da sei-sette persone. I cristiani iracheni venuti in Libano possono essere distinti in tre categorie. La prima è composta da medici, ingegneri, professori entrati in Libano con visti normali e senza alcun problema. La seconda categoria è composta da persone appartenenti ad un ceto medio, entrate in Libano legalmente, credendo di poter trovare qui un lavoro: ma una volta arrivate, hanno il problema di non poter ottenere permessi di lavoro, né di soggiorno. In Libano infatti ci sono disposizioni legali in base alle quali non vengono concessi tali tipi di permessi agli iracheni. Questa seconda categoria si trova, quindi, a vivere nella miseria proprio perché non riesce a trovare un impiego. C’è, infine, la terza categoria che è caratterizzata da immigrati clandestini, che arrivano in Libano attraverso una mafia, per metà locale e per metà siriana. Si tratta di persone che pagano molto per poter entrare nel Paese ed una volta che sono qui non hanno alcuna possibilità di lavorare. Sono costrette, praticamente, a vivere una vita da vagabondi.

 
D. – Che tipo di assistenza ricevono?

 
R. – La prima organizzazione che si occupa di questa gente è il servizio migranti della Caritas Libano. Poi c’è l’episcopato dei caldei cattolici, ma anche la comunità siriaco-ortodossa. E infine ci sono le Nazioni Unite. Devo però dire che gli aiuti di tali realtà sono comunque non sufficienti, non bastano. Ci sono degli iracheni che lavorano per 8 euro la settimana o per 50 euro al mese.

 
D. – Cosa raccontano della loro vita in Iraq?

 
R. – Sono stati obbligati a lasciare il loro Paese, perché come cristiani sono continuamente minacciati da qualche gruppo ed è sempre più frequente la possibilità che un cristiano iracheno possa essere sequestrato a scopo di riscatto. E poi ci sono anche episodi di cristiani che vengono ammazzati. Vivono quindi nella paura e lasciano per questo motivo le loro case, il loro Paese, anche sapendo che poi potranno trovare nuovi problemi in Libano.

 
D. – Quale futuro aspetta loro in Libano?

 
R. – Non è facile dirlo, tanto più che in Libano c’è crisi politica per le elezioni presidenziali e viviamo nella paura di una nuova eventuale guerra. Ma, forse, in futuro ci sarà la possibilità di risolvere l’emergenza degli iracheni.

 
D. – La speranza qual è?

 R. – Pregare ed aspettare quello che il Signore vuole e decide per noi.







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