2007-10-06 15:11:42

In Pakistan, Musharraf rieletto presidente - All'ONU in preparazione una risoluzione di condanna della Giunta birmana


Nuovo mandato di 5 anni per il presidente pachistano Musharraf. La tv di Stato ha annunciato la sua vittoria al termine delle elezioni presidenziali nelle quali ha raccolto la quasi totalità dei consensi. I dati non ufficiali riferiti al Parlamento danno a Musharraf 252 voti su 257. Le consultazioni sono state segnate dalla violenza, scontri si sono verificati a Peshawar dove sono scesi in piazza gli avvocati, ostili al governo. Disordini anche a Lahore, Karachi e Quetta. Il servizio di Barbara Schiavulli: RealAudioMP3


Il parlamento e le assemblee legislative provinciali hanno votato: il presidente è stato eletto e anche se ufficialmente nessuno può rilevare il vincitore per ordine della Corte Suprema, ufficiosamente i primi conteggi raccontano la schiacciante vittoria dell’attuale capo di Stato Pervez Musharraf. Tutti quelli che hanno votato lo hanno fatto per lui mentre gli altri, che invocano la non legittimità, si sono astenuti boicottando le elezioni che, però, non vantano il quorum ma la semplice maggioranza. Un successo scontato quello del generale che non potrà celebrare la sua vittoria perchè i giudici, che si riuniranno il 17 ottobre prossimo, dovranno decidere la legittimità della sua candidatura. Secondo la Costituzione pakistana, un capo di Stato non può allo stesso tempo essere il capo delle forze armate, ruolo che Musharraf non vuole perdere in quella che, per otto anni, è stata una dittatura militare, da quando cioè è giunto al potere nel 1999 con un colpo di Stato. Ferrate le misure di sicurezza nella capitale che, tranquillamente, ha assistito al voto in quello che sembra un generale disinteresse per una situazione che per la gente è già stata tutta stabilita. Più calde le altre città con manifestazioni, negozi chiusi in segno di protesta. La polizia ha malmenato il capo dell’ordine degli avvocati di Peshawar mentre protestava con il suo movimento, quello degli avvocati. E' il loro candidato presidenziale che vincerebbe nella remotissima ipotesi che la corte suprema decidesse di squalificare il presidente Musharraf. (Da Islamabad per la Radio Vaticana, Barbara Schiavulli)

- Un progetto di risoluzione che condanna la repressione violenta della Giunta militare birmana sta circolando in Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La bozza, proposta da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, segue l’intervento a porte chiuse dell’inviato delle Nazioni Unite nel Paese asiatico, Ibrahim Gambari, che ha parlato dell’impossibilità di ritornare alla situazione politica precedente alla crisi. Il nostro servizio: RealAudioMP3

Condanna delle violenze attuate dal regime birmano sui manifestanti, la scarcerazione di tutti i prigionieri politici e l’invito al dialogo tra i militari e l’opposizione. Sono i tre cardini della risoluzione che i tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, stanno mettendo a punto. Una bozza, probabilmente in discussione lunedì, che riflette le linee di intervento tracciate ieri, nella sua audizione, dall’inviato di Ban-Ki-moon in Birmania, Ibrahim Gambari. Quest’ultimo ha parlato della necessità di invertire la rotta nel Paese asiatico, tenendo conto delle rimostranze della piazza, non escludendo una nuova missione a Yangoon per novembre. Nonostante il consenso tra i Quindici nel condannare la mano pesante della Giunta, si segnalano spaccature sull’opportunità di sanzioni: da una parte gli Stati Uniti, dall’altra la Cina contraria a provvedimenti che potrebbero portare ad uno scontro e all’interruzione del dialogo tra le autorità birmane e la comunità internazionale. Pechino, storico alleato del Myanmar, non esclude di ricorrere al diritto di veto bloccando di fatto qualsiasi provvedimento contro la Giunta. Intanto nel Paese, la tv di Stato ha ammesso l’irruzione dell’esercito in 18 monasteri buddisti, l’arresto di più di 700 persone ed ha reso noto che solo 109 religiosi restano in prigione. Diverse le cifre dell’opposizione che denuncia migliaia di arresti e centinaia di scomparsi. Ancora non attivo il collegamento ad internet, che aveva ripreso a funzionare soltanto ieri sera. Per oggi, Amnesty International ha promosso una giornata di mobilitazione mondiale contro il regime birmano; manifestazioni sono in programma in una decina di Paesi: a Parigi l’appuntamento è davanti all’Ambasciata cinese per chiedere a Pechino di fare pressioni sulla Giunta militare.

- Ancora un attentato in Afghanistan. Un’autobomba sulla strada dell'aeroporto di Kabul ha colpito in pieno un convoglio militare americano. Almeno 5 le vittime: un soldato della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti e quattro civili afghani. Sentiamo Giada Aquilino: RealAudioMP3
 
Non è la prima volta che la strada che conduce da Kabul all’aeroporto della capitale afghana è teatro di un attacco. Un kamikaze a bordo di un’automobile si è gettato a grande velocità verso il convoglio militare, provocando una fortissima esplosione. Nello scoppio sono rimaste coinvolte diverse automobili civili. I talebani, attraverso un loro portavoce, hanno rivendicato l'attacco. Si tratta del terzo attentato suicida a Kabul dallo scorso 29 settembre, quando un altro kamikaze si era fatto saltare in aria contro un pullman di soldati afghani, provocando una trentina di vittime. Oggi, poi, ricorre il sesto anniversario dall'inizio della guerra contro i talebani e i loro alleati di Al Qaeda. Secondo fonti giornalistiche, proprio il 2007 sarebbe il più violento di questi anni di guerra. Ma mentre i combattimenti continuano, cambia l’assetto della coalizione internazionale: la stampa giapponese ha annunciato che Tokyo si appresterebbe a ritirare a partire dal 1° novembre il proprio appoggio navale alle operazioni militari nel Paese asiatico.

- Incertezza sulla presenza palestinese alla Conferenza di pace sul Medio Oriente, convocata per metà novembre negli Stati Uniti. Lo ha rivelato il capo dei negoziatori palestinesi, Ahmad Qrei, durante un’intervista alla stampa locale, chiarendo che la decisione è legata alla messa a punto di una dichiarazione comune con gli israeliani. “Quello che per noi è importante è il contenuto e la sostanza del documento - ha spiegato - ma se rimarrà vago e generico, allora non avrà alcun valore”.

- Il premier libanese, Fuad Siniora, avrebbe bocciato l’ipotesi avanzata dal leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, di un’elezione diretta del presidente del Paese nel caso in cui non si trovi un accordo politico. La notizia è riportata dal quotidiano libanese “An-Nahar”. Per Siniora la via indicata tenderebbe a favorire la maggioranza musulmana a spese della minoranza cristiana. In base alla Costituzione, il successore dell’attuale capo di Stato, Emile Lahoud, sarà eletto dal Parlamento per metà cristiano e per metà musulmano.

- Nuove regole sugli agenti privati che operano in Iraq sono state decise dal dipartimento di Stato americano. “Azioni – si precisa- per rendere più semplice la verifica e il controllo”. L’iniziativa è scaturita dopo l’uccisione di 17 civili, avvenuta qualche settimana fa, da parte delle guardie della società “Blackwater” che vigilano sulla sicurezza del personale diplomatico nel Paese del Golfo. C’è attesa in Gran Bretagna per il discorso che il premier, Gordon Brown, pronuncerà lunedì davanti al Parlamento. Secondo la stampa londinese, Downing Street è pronta a dare asilo agli interpreti iracheni e alle persone che lavorano per le truppe britanniche in Iraq, spesso nel mirino della guerriglia.

- Proseguono anche oggi nei Paesi Baschi le manifestazioni di protesta contro la vasta operazione che, giovedì scorso, ha portato all’arresto di 23 tra dirigenti e militanti del partito fuorilegge Batasuna, considerato vicino al movimento indipendentista dell’ETA. Il servizio di Padre Ignacio Arregui: RealAudioMP3

Le reazioni dei gruppi violenti urbani non si sono fatte attendere. Stamattina sono almeno due gli attentati realizzati contro alcuni edifici pubblici che però non hanno provocato danni. Ieri, alcune centinaia di persone hanno manifestato per le strade di Bilbao e San Sebastian. Tra le 23 persone arrestate, giovedì scorso, 16 appartengono alla direzione collettiva del partito Herri Batasuna considerato il braccio politico dell’ETA, gli altri fanno parte di altri movimenti della sinistra nazionalista basca. Tutti gli arrestati sono stati trasferiti a Madrid. Numerose e contrastanti le dichiarazioni del mondo politico: la vicepresidentessa del governo centrale, Maria Teresa Fernandez de La Vega, ha messo l’accento sulla legalità dell’operazione contro un partito dichiarato fuorilegge per la sua collaborazione con il terrorismo dell’ETA. Tuttavia, non ha chiarito se il blitz è da considerarsi cruciale nella lotta al terrorismo. Il partito popolare ha applaudito all’azione. I dirigenti del mondo nazionalista basco hanno messo in dubbio l’opportunità e l’utilità di queste misure di forza. Ricordano, infatti, che dirigenti di Herri Batasuna hanno partecipato mesi fa ad alcuni incontri con rappresentati del partito socialista in cerca di un vero negoziato di pace. L’operazione della polizia nazionale è avvenuta mentre due delegati del Sinn Féin, movimento indipendentista irlandese, si trovavano in visita nei Paesi Baschi, invitati da Herri Batasuna. Anche loro hanno manifestato la preoccupazione per i possibili sviluppi negativi degli arresti sulla ricerca del dialogo per una pace definitiva. Oggi pomeriggio sono previste alcune manifestazioni per le strade di San Sebastian e di Bilbao. (Per la Radio Vaticana, Ignacio Arregui)

- Martedì a Mosca è previsto l’incontro tra il primo ministro ucraino Viktor Ianukovic ed il suo omologo russo Viktor Zubkov. Al centro dei colloqui le relazioni bilaterali tra i due Paesi, alla luce dei risultati elettorali di domenica scorsa che hanno sancito la netta affermazione di Iulia Timoshenko, ma che non hanno prodotto alcun accordo sul futuro governo. In agenda anche il debito energetico di Kiev nei confronti di Mosca.

- Far luce sull’assassinio di Anna Politkovskaia. E’ quanto chiedono oltre 60 firmatari di una lettera pubblicata oggi dal quotidiano “Times” ad un anno di distanza dalla morte della giornalista russa, famosa per le sue inchieste sulla guerra in Cecenia. Tra le personalità che hanno aderito all’appello c’è il sudafricano Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace, lo scrittore francese, Bernard Henry Levy, ed il drammaturgo britannico, Harold Pinter. Ed in Russia, è prevista per domani una manifestazione di commemorazione della Politkovskaia ma sull’iniziativa si registrano divisioni all’interno dell’opposizione. Il timore è che il permesso di raduno, accordato per sole 500 persone, diventi il pretesto per sciogliere subito il comizio al quale con ogni probabilità parteciperà un numero superiore a quello previsto. (Panoramica internazionale a cura di Benedetta Capelli)



Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 279

 
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