In Pakistan, Musharraf rieletto presidente - All'ONU in preparazione una risoluzione
di condanna della Giunta birmana
Nuovo mandato di 5 anni per il presidente pachistano Musharraf. La tv di Stato ha
annunciato la sua vittoria al termine delle elezioni presidenziali nelle quali ha
raccolto la quasi totalità dei consensi. I dati non ufficiali riferiti al Parlamento
danno a Musharraf 252 voti su 257. Le consultazioni sono state segnate dalla violenza,
scontri si sono verificati a Peshawar dove sono scesi in piazza gli avvocati, ostili
al governo. Disordini anche a Lahore, Karachi e Quetta. Il servizio di Barbara
Schiavulli:
Il parlamento
e le assemblee legislative provinciali hanno votato: il presidente è stato eletto
e anche se ufficialmente nessuno può rilevare il vincitore per ordine della Corte
Suprema, ufficiosamente i primi conteggi raccontano la schiacciante vittoria dell’attuale
capo di Stato Pervez Musharraf. Tutti quelli che hanno votato lo hanno fatto per lui
mentre gli altri, che invocano la non legittimità, si sono astenuti boicottando le
elezioni che, però, non vantano il quorum ma la semplice maggioranza. Un successo
scontato quello del generale che non potrà celebrare la sua vittoria perchè i giudici,
che si riuniranno il 17 ottobre prossimo, dovranno decidere la legittimità della sua
candidatura. Secondo la Costituzione pakistana, un capo di Stato non può allo stesso
tempo essere il capo delle forze armate, ruolo che Musharraf non vuole perdere in
quella che, per otto anni, è stata una dittatura militare, da quando cioè è giunto
al potere nel 1999 con un colpo di Stato. Ferrate le misure di sicurezza nella capitale
che, tranquillamente, ha assistito al voto in quello che sembra un generale disinteresse
per una situazione che per la gente è già stata tutta stabilita. Più calde le altre
città con manifestazioni, negozi chiusi in segno di protesta. La polizia ha malmenato
il capo dell’ordine degli avvocati di Peshawarmentre protestava con
il suo movimento, quello degli avvocati. E' il loro candidato presidenziale che vincerebbe
nella remotissima ipotesi che la corte suprema decidesse di squalificare il presidente
Musharraf. (Da Islamabad per la Radio Vaticana, Barbara Schiavulli)
- Un
progetto di risoluzione che condanna la repressione violenta della Giunta militare
birmana sta circolando in Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La bozza, proposta da Stati
Uniti, Gran Bretagna e Francia, segue l’intervento a porte chiuse dell’inviato delle
Nazioni Unite nel Paese asiatico, Ibrahim Gambari, che ha parlato dell’impossibilità
di ritornare alla situazione politica precedente alla crisi. Il nostro servizio:
Condanna
delle violenze attuate dal regime birmano sui manifestanti, la scarcerazione di tutti
i prigionieri politici e l’invito al dialogo tra i militari e l’opposizione. Sono
i tre cardini della risoluzione che i tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza
dell’ONU, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, stanno mettendo a punto. Una bozza,
probabilmente in discussione lunedì, che riflette le linee di intervento tracciate
ieri, nella sua audizione, dall’inviato di Ban-Ki-moon in Birmania, Ibrahim Gambari.
Quest’ultimo ha parlato della necessità di invertire la rotta nel Paese asiatico,
tenendo conto delle rimostranze della piazza, non escludendo una nuova missione a
Yangoon per novembre. Nonostante il consenso tra i Quindici nel condannare la mano
pesante della Giunta, si segnalano spaccature sull’opportunità di sanzioni: da una
parte gli Stati Uniti, dall’altra la Cina contraria a provvedimenti che potrebbero
portare ad uno scontro e all’interruzione del dialogo tra le autorità birmane e la
comunità internazionale. Pechino, storico alleato del Myanmar, non esclude di ricorrere
al diritto di veto bloccando di fatto qualsiasi provvedimento contro la Giunta. Intanto
nel Paese, la tv di Stato ha ammesso l’irruzione dell’esercito in 18 monasteri buddisti,
l’arresto di più di 700 persone ed ha reso noto che solo 109 religiosi restano in
prigione. Diverse le cifre dell’opposizione che denuncia migliaia di arresti e centinaia
di scomparsi. Ancora non attivo il collegamento ad internet, che aveva ripreso a funzionare
soltanto ieri sera. Per oggi, Amnesty International ha promosso una giornata di mobilitazione
mondiale contro il regime birmano; manifestazioni sono in programma in una decina
di Paesi: a Parigi l’appuntamento è davanti all’Ambasciata cinese per chiedere a Pechino
di fare pressioni sulla Giunta militare.
- Ancora un attentato in Afghanistan.
Un’autobomba sulla strada dell'aeroporto di Kabul ha colpito in pieno un convoglio
militare americano. Almeno 5 le vittime: un soldato della coalizione internazionale
guidata dagli Stati Uniti e quattro civili afghani. Sentiamo Giada Aquilino: Non
è la prima volta che la strada che conduce da Kabul all’aeroporto della capitale afghana
è teatro di un attacco. Un kamikaze a bordo di un’automobile si è gettato a
grande velocità verso il convoglio militare, provocando una fortissima esplosione.
Nello scoppio sono rimaste coinvolte diverse automobili civili. I talebani, attraverso
un loro portavoce, hanno rivendicato l'attacco. Si tratta del terzo attentato suicida
a Kabul dallo scorso 29 settembre, quando un altro kamikaze si era fatto saltare
in aria contro un pullman di soldati afghani, provocando una trentina di vittime.
Oggi, poi, ricorre il sesto anniversario dall'inizio della guerra contro
i talebani e i loro alleati di Al Qaeda. Secondo fonti giornalistiche, proprio il
2007 sarebbe il più violento di questi anni di guerra. Ma mentre i combattimenti continuano,
cambia l’assetto della coalizione internazionale: la stampa giapponese ha annunciato
che Tokyo si appresterebbe a ritirare a partire dal 1° novembre il proprio appoggio
navale alle operazioni militari nel Paese asiatico.
- Incertezza sulla
presenza palestinese alla Conferenza di pace sul Medio Oriente, convocata per metà
novembre negli Stati Uniti. Lo ha rivelato il capo dei negoziatori palestinesi, Ahmad
Qrei, durante un’intervista alla stampa locale, chiarendo che la decisione è legata
alla messa a punto di una dichiarazione comune con gli israeliani. “Quello che per
noi è importante è il contenuto e la sostanza del documento - ha spiegato - ma se
rimarrà vago e generico, allora non avrà alcun valore”.
- Il premier libanese,
Fuad Siniora, avrebbe bocciato l’ipotesi avanzata dal leader di Hezbollah, Sayyed
Hassan Nasrallah, di un’elezione diretta del presidente del Paese nel caso in cui
non si trovi un accordo politico. La notizia è riportata dal quotidiano libanese “An-Nahar”.
Per Siniora la via indicata tenderebbe a favorire la maggioranza musulmana a spese
della minoranza cristiana. In base alla Costituzione, il successore dell’attuale capo
di Stato, Emile Lahoud, sarà eletto dal Parlamento per metà cristiano e per metà musulmano.
- Nuove regole sugli agenti privati che operano in Iraq sono state decise
dal dipartimento di Stato americano. “Azioni – si precisa- per rendere più semplice
la verifica e il controllo”. L’iniziativa è scaturita dopo l’uccisione di 17 civili,
avvenuta qualche settimana fa, da parte delle guardie della società “Blackwater” che
vigilano sulla sicurezza del personale diplomatico nel Paese del Golfo. C’è attesa
in Gran Bretagna per il discorso che il premier, Gordon Brown, pronuncerà lunedì davanti
al Parlamento. Secondo la stampa londinese, Downing Street è pronta a dare asilo agli
interpreti iracheni e alle persone che lavorano per le truppe britanniche in Iraq,
spesso nel mirino della guerriglia.
- Proseguono anche oggi nei Paesi Baschi
le manifestazioni di protesta contro la vasta operazione che, giovedì scorso, ha portato
all’arresto di 23 tra dirigenti e militanti del partito fuorilegge Batasuna, considerato
vicino al movimento indipendentista dell’ETA. Il servizio di Padre Ignacio Arregui:
Le reazioni
dei gruppi violenti urbani non si sono fatte attendere. Stamattina sono almeno due
gli attentati realizzati contro alcuni edifici pubblici che però non hanno provocato
danni. Ieri, alcune centinaia di persone hanno manifestato per le strade di Bilbao
e San Sebastian. Tra le 23 persone arrestate, giovedì scorso, 16 appartengono alla
direzione collettiva del partito Herri Batasuna considerato il braccio politico dell’ETA,
gli altri fanno parte di altri movimenti della sinistra nazionalista basca. Tutti
gli arrestati sono stati trasferiti a Madrid. Numerose e contrastanti le dichiarazioni
del mondo politico: la vicepresidentessa del governo centrale, Maria Teresa Fernandez
de La Vega, ha messo l’accento sulla legalità dell’operazione contro un partito dichiarato
fuorilegge per la sua collaborazione con il terrorismo dell’ETA. Tuttavia, non ha
chiarito se il blitz è da considerarsi cruciale nella lotta al terrorismo. Il partito
popolare ha applaudito all’azione. I dirigenti del mondo nazionalista basco hanno
messo in dubbio l’opportunità e l’utilità di queste misure di forza. Ricordano, infatti,
che dirigenti di Herri Batasuna hanno partecipato mesi fa ad alcuni incontri con rappresentati
del partito socialista in cerca di un vero negoziato di pace. L’operazione della polizia
nazionale è avvenuta mentre due delegati del Sinn Féin, movimento indipendentista
irlandese, si trovavano in visita nei Paesi Baschi, invitati da Herri Batasuna. Anche
loro hanno manifestato la preoccupazione per i possibili sviluppi negativi degli arresti
sulla ricerca del dialogo per una pace definitiva. Oggi pomeriggio sono previste alcune
manifestazioni per le strade di San Sebastian e di Bilbao. (Per la Radio Vaticana,
Ignacio Arregui)
- Martedì a Mosca è previsto l’incontro tra il primo ministro
ucraino Viktor Ianukovic ed il suo omologo russo Viktor Zubkov. Al centro dei colloqui
le relazioni bilaterali tra i due Paesi, alla luce dei risultati elettorali di domenica
scorsa che hanno sancito la netta affermazione di Iulia Timoshenko, ma che non hanno
prodotto alcun accordo sul futuro governo. In agenda anche il debito energetico di
Kiev nei confronti di Mosca.
- Far luce sull’assassinio di Anna Politkovskaia.
E’ quanto chiedono oltre 60 firmatari di una lettera pubblicata oggi dal quotidiano
“Times” ad un anno di distanza dalla morte della giornalista russa, famosa per le
sue inchieste sulla guerra in Cecenia. Tra le personalità che hanno aderito all’appello
c’è il sudafricano Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace, lo scrittore francese,
Bernard Henry Levy, ed il drammaturgo britannico, Harold Pinter. Ed in Russia, è prevista
per domani una manifestazione di commemorazione della Politkovskaia ma sull’iniziativa
si registrano divisioni all’interno dell’opposizione. Il timore è che il permesso
di raduno, accordato per sole 500 persone, diventi il pretesto per sciogliere subito
il comizio al quale con ogni probabilità parteciperà un numero superiore a quello
previsto. (Panoramica internazionale a cura di Benedetta Capelli)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 279 E'
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