Myanmar: l'esercito carica la folla. Giunto nel Paese l'inviato ONU
Dopo una mattinata di calma, l’esercito birmano è tornato ad attaccare un gruppo di
manifestanti scesi in strada a Yangon, città presidiata dai militari e dove vige lo
stato d’assedio. Tra arresti e cariche è iniziata la missione dell’inviato dell’ONU,
Ibrahim Gambari, che ha il difficile compito di spegnere gli animi. Intanto l’Unione
Europea ha deciso di inasprire le sanzioni nei confronti del Myanmar. Benedetta
Capelli:
Il
notevole dispiegamento di militari e le piogge monsoniche, che hanno colpito Yangon,
non hanno scoraggiato i circa cento manifestanti riuniti presso il ponte di Pansoedan.
La folla, accerchiata dai soldati, ha applaudito al loro indirizzo, in segno di protesta,
scatenando così la dura reazione. Cinque gli arresti, un numero esiguo rispetto ai
giorni scorsi. Continua intanto a mancare il collegamento ad internet, ripristinato
oggi soltanto per due ore e poi interrotto. In questo clima è giunto nel Paese, proveniente
da Singapore, l’inviato dell’ONU, Ibrahim Gambari. L’ex ministro degli Esteri nigeriano
si è trattenuto per poco nella capitale ed è volato alla volta di un villaggio in
mezzo alla giungla, situato 385 chilometri più a nord, sede del quartiere generale
della giunta militare. L’emissario di Ban Ki-moon avrà il difficile compito di convincere
i vertici del regime a rinunciare alla violenza e ad aprire al dialogo. Tentativi
che, negli ultimi 19 anni, la comunità internazionale ha cercato di fare, fallendo
sempre. Gambari ha espresso l’intenzione di parlare con tutte le forze sociali, alludendo
all'ex leader dell’opposizione e premio Nobel, Aung San Suu Kyi , trasferita
dagli arresti domiciliari ad un carcere di massima sicurezza. Intanto l’Unione Europea
ha convocato l’incaricato d'affari del Myanmar a Bruxelles, annunciando la preparazione
di sanzioni più dure nei confronti del Paese. Un appello alla Cina perché favorisca
la mediazione è giunto dall’Alto Rappresentate della politica estera dell’UE, Solana.
Il primo ministro cinese, Wen Jiabao, già ieri aveva chiesto alla giunta militare
di usare "metodi pacifici" mentre la Russia, vicina come l’India al Myanmar, ha detto
di considerare le eventuali sanzioni una misura “prematura”.A far sentire la loro
voce anche i vescovi cattolici dell'Asia che hanno manifestato la loro "più profonda
preoccupazione" per "gli sconvolgenti avvenimenti " in corso in Myanmar. Infine,
il PAM, Programma Alimentare Mondiale, ha reso noto che la giunta militare ha ostacolato
la distribuzione degli aiuti, fondamentali per 500mila persone, nelle zone più povere
del Paese. L’agenzia ONU ha chiesto quindi di avere libero accesso per portare sostegno
a tutti.
E la Caritas Internationalis si sta preparando ad accogliere
eventuali flussi di rifugiati provenienti dal Myanmar nella vicina Thailandia. Massimiliano
Menichetti ha raggiunto telefonicamente in una città al confine tra i due Paesi
un rappresentante del Network Caritas che per ragioni di sicurezza ha chiesto l’anonimato:
R. –
Non è ancora chiaro che livello di scontro con le forze del governo si possa raggiungere.
La stessa mancanza di informazioni che subiscono le persone all’interno del Paese
porta ad una situazione di insicurezza.
D. – Dalle
informazioni che trapelano la situazione a Yangon sarebbe molto più grave di quanto
viene raccontato...
R. – Quello che è certo è che
dopo la morte di un numero di persone che, purtroppo, è ancora indefinito, ci si chiede
se adesso la situazione verrà ricomposta e in che modo. Le proteste pacifiche devono
poter continuare, non possono essere represse con la violenza dal governo birmano.
Dall’altra parte, la comunità internazionale deve riuscire ad usare tutti gli strumenti
per poter fare opera di convincimento soprattutto su quei Paesi e su quelle strutture
che hanno una forza di pressione reale sul Myanmar, come l’India e la Cina, e poter
fare forte pressione per il rispetto dei diritti umani.
D.
– Cosa farà la Caritas rispetto a questa situazione in Myanmar?
R.
– Uno, continuare l’attività di pressione con tutti quanti i canali e gli strumenti
possibili. Altro elemento importante è che all’interno del Paese comincia ad avvertirsi
la pressione anche verso la Thailandia. Ci si sta organizzando in collaborazione con
Caritas Thailandia per poter eventualmente far fronte alla pressione dei profughi
e dei rifugiati in fuga dalla repressione del Paese birmano.